1968

GIBELLINA

Gli aiuti ai terremotati

Tra il 14 e il 15 Gennaio del 1968  la Sicilia inizia a tremare e gli abitanti si riversano in strada. Da quella prima scossa ha inizio uno sciame sismico che si concluderà solo a febbraio del ’68 e porterà con sé 231 vittime, oltre 600 feriti, e un intero territorio distrutto (Il 90% del patrimonio edilizio rurale subisce danni irreparabili). Il tristemente famoso terremoto del Belice, causò morte e distruzione. Le zone più colpite della Sicilia furono quelle dell’Agrigentino e del Trapanese, con gli edifici di Salaparuta, Montevago, Partanna, Santa Ninfa, Salemi e Santa Margherita Belice per la maggior parte completamente distrutti.

Dopo la prima scossa di Gibellina (che diventerà anche l’epicentro di quella di magnitudo 6.1 delle 3,01 di notte), la gente si riversò nelle strade. Si trattò di un primo evento totalmente inaspettato, dato che la zona era considerata fino ad allora dal bassissimo rischio sismico.

La televisione nazionale e successivamente la stampa locale ci raccontano con immagini e con drammatici episodi di quanto fosse accaduto poco distante da noi, oltre lo Stretto.

L’idea di cosa fosse il terremoto, il mio primo approccio con questa forza della natura e del suo manifestarsi, mi veniva dal racconto di quanti erano stati segnati dal sisma del 1908 che rase al suolo la città di Reggio e di Messina procurando oltre 100.000 morti. 

Mia nonna assumeva un atteggiamento triste e sommesso quando la sollecitavo a raccontarmi cosa ricordasse di quell’evento che si manifestò attraverso scosse telluriche ma anche attraverso il maremoto. Ricordava con maggiore impressione e terrore gli effetti delle onde gigantesche che dalla linea di battigia salirono per oltre duecento metri sino a raggiungere la linea ferrata. Non so se rispondesse al vero ma diceva che quando il mare si ritirò lascio in una grande vasca, che serviva per l'irrigazione del giardino, tanti pesci. Così come mia madre mi raccontava che ad un centinaio di metri dalla spiaggia dove in estate facevamo il bagno vi era luogo dove vennero seppellite le vittime del quartiere. 

Un altro appuntamento con il tremolio della terra lo ebbi quando frequentavo la terza classe del Liceo Scientifico Leonardo  da Vinci. La prof. Trigiani, insegnante di francese teneva la sua lezione alla nostra classe composta da ragazze e ragazzi. Indossava occhiali spessi e non aveva un buon udito. Quando per prime le ragazze impaurite dal tremolio del pavimento si alzarono dai banchi la prima reazione della professoressa fu di accennare al rimprovero sino a quando non si rese conto di quanto era accaduto. Quel giorno si sospesero le lezioni anche perché in un angolo dell’istituto era evidente una lesione. 

Le prime notizie davano conto del disastro, si susseguivano numeri di morti e feriti, si lamentava  la mancanza di tempestivi soccorsi, il giorno 16 fu data la notizia che dalle macerie ancora si recuperavano persone ferite ma vive. Un gruppo di giovani eravamo nel salone della sede di via Palamolla e ci interroghiamo su ciò che potevamo fare per essere utili. Il più grande di noi aveva 20 anni ed a quell’epoca la maggiore età si consegue a 21 anni. Bisognerà aspettare la legge del 1975 per abbassare la soglia della maggiore età a 18 anni. Ciò ti poneva il dovere di ottenere il permesso dei genitori per spostarti e assentarmi da casa per qualche giorno. Dovevamo fare i conti, nel decidere cosa potere fare, con questo limite.

Alla fine decidiamo di organizzare un gruppo di giovani per andare sui luoghi colpiti dal terremoto e prestare soccorso affiancando le forze militari insufficienti.

Dovevo affrontare i miei genitori e fargli digerire il fatto di dovere andare incontro ad un rischio portandomi tra i terremotati. Così decisi di dire mezza verità ovvero che con una delegazione di giovani andavamo a Palermo in Prefettura per operare in quella sede in favore dei terremotati. Venni facilmente creduto anche perché quella mattina, come al solito indosso uno dei soliti vestiti scuri, con gilet e cravatta, che rendeva verosimile un impegno di sostegno da dietro una scrivania.

Il pomeriggio del 16 gennaio “Alle ore 13,40 dal porto di Reggio Calabria sono partiti in aliscafo un gruppo di ragazzi della “Giovane Italia”. La loro meta è Palermo. Nella capitale dell’Isola si metteranno a disposizione di quel Prefetto per essere utilizzati a favore delle popolazioni del trapanese colpito dal terremoto” così l’incipit di un articolo del quotidiano locale titolato “Numerose iniziative dei reggini per recare aiuti ai terremotati – Un gruppo di ragazzi della Giovane Italia è partito per il Trapanese dove si adopererà per alleviare i disagi dei sinistrati. Organizzati centri di raccolta di beni dalla Croce Rossa e dall’A.U.I..

Avevo selezionato un gruppo di otto giovani entusiasti, tutti fieri di essere stati scelti per una missione importante.

In effetti sbarcati a Messina ci imbarchiamo su un treno diretto a Palermo avendo come meta la Prefettura. In tarda serata giungiamo alla stazione di Palermo ed affacciati al finestrino del treno prima della sosta notiamo una marea di gente che correva verso il treno. Non ci spieghiamo la ragione di tanto interesse. Apprendiamo da lì a poco che pochi minuti prima si era registrata una violenta scossa di terremoto e che la gente cercava un rifugio sicuro sui treni per la notte. Noi avevamo una direzione di marcia contraria. Il nostro scopo, ad ogni costo, era di giungere sui luoghi della tragedia per guardarla in faccia per potere fare qualcosa che ci rendesse utili. 

La tensione morale dei principi e dei valori ispiratori il nostro impegno  politico, il disprezzo per il pericolo, la ricerca di atti valorosi, la ripugnanza verso un regime incapace di garantire la sicurezza dei suoi sudditi, ci dava la carica per andare avanti esaltati dalla paura che scorreva attorno a noi.   Ed è così che baldanzosi arriviamo a piedi al palazzo di Governo. Abbiamo subito l'impressione di trovarci in un luogo aperto ed abbandonato probabilmente per la scossa tellurica di poco prima. Riusciamo a parlare con qualcuno per dire le ragioni della nostra presenza che risultava strana. Nessuno sapeva cosa dovesse fare di noi e della nostra disponibilità a dare un aiuto per i soccorsi.

Bivacchiamo qualche ora in quelle stanze quando scorgemmo un militare in divisa a cui ci rivolgemmo per chiedere cosa dovevamo e potevamo fare per giungere sui luoghi colpiti. 

Fu così che ottenemmo di essere ospitati su un camion che si dirigeva verso Gibellina e che ci avrebbe lasciato in una piazzuola ad attendere un mezzo di fortuna che faceva la spola con l’area che era stata scelta per montare il campo tende per gli abitanti di Gibellina. Sono forse le tre del mattino quando saliamo su questo autobus dove non c’erano posti a sedere ed in piedi sostiamo sul retro dello stesso. Non ricordo tutto il tragitto perché preso dalla stanchezza e dal sonno credo di avere dormito un bel po' in quella posizione scomoda.

Quando scendiamo dal pullman non era ancora alba. Il primo impatto con quella terra era premonitore di quanto avremmo vissuto nei giorni prossimi.  Un terreno argilloso bagnato dall’acqua piovana rendeva difficile la marcia verso una tenda dove avevamo notato alcuni militari dell’esercito Italiano.  Era come muoversi in un acquitrino.

Ci presentiamo ad un graduato dichiarando la nostra disponibilità ad essere impiegati in attività complementari a quelle che loro svolgevano.

Ed è così che dopo alcune ore, divisi in gruppi di supporto ad alcuni di loro, contribuiamo a montare le tende che ospiteranno gli sfollati.

Nella tarda mattinata atterra un elicottero e quindi tutti a scaricare i primi viveri ed indumenti che riponiamo in alcune tende in attesa che venissero distribuite razionalmente.

Poi la sistemazione delle persone per gruppi familiari nelle singole tende. 

Una popolazione fatta solo di anziani e ragazzi, intere generazioni di mezzo tutti emigrati per lavoro. 

Dove si dormiva, si distribuivano i pasti, e dove si prestavano dei soccorsi  sentivamo ancora la terra muoversi ogni tanto.

Da alcuni appunti rinvenuti in due vecchi quaderni, che hanno resistito ad un alluvione nell’anno 2010, sono annotate le singole tende seguite dal nostro gruppo raggruppate per Zona. Nelle tende della zona A erano ospitati gli abitanti di Gibellina e più precisamente:

Alla tenda n.1 dieci uomini e quattro donne. Capo tenda: Mandina Salvatore

Alla tenda n. 2 tre uomini, due donne e tre bambini. 

Alla tenda n. 3 tre uomini, quattro donne e tre bambini. Capo tenda: Stabile Giuseppe

Alla tenda n. 4 otto uomini, quattro donne e 4 mabini – Capo tenda: Roppolo Giuseppe

Alla tenda n. 5 undici uomini, quindici donne e sei bambini – Capo tenda: Polizzano Giuseppe

Alla tenda n. 6 tre uomini, due donne e quattro bambini – Capo tenda: Calamia Michele

Alla tenda n. 7 tre uomini, sette donne 

Alla tenda n. 8 sei uomini, otto donne – Capo tenda: Corona Carmelo

Alla tenda n. 9 quattro uomini , quattro donne ed un bambino – Capo tenda: Bonanno Salvatore

Alla tenda n. 10 quattro uomini e cinque donne

Alla tenda n. 11 vuota

Alla tenda n. 12 cinque uomini, cinque donne e due bambini – Capo tenda: Capo Rosario

Alla tenda n. 13 tre uomini e tre donne – Capo tenda: Pirrello Salvatore

Alla tenda n. 14 cinque uomini, cinque donne ed un bambino

In altra zona erano ospitati gli sfollati di Poggioreale:

Alla tenda n. 13 vengono ospitate 12 persone: Restivo, Micari, Bologna, Rosselli

Alla tenda n. 14 nove persone: Massimino, Bartolotta, Sellari, Cangelose

Alla tenda n. 15 venticinque persone: Capodicasa, Catalano, Settecasi, Panarisi, Devile, Tridico, Oliveri, Piazza.

Alla tenda  n. 16 diciotto persone : Lograsso, Rossello, Cangelosi, Tusa, Giambalvo, Russo

Alla tenda n. 17 ventisette persone: Franco, Filippella, Bertelli, Chiappetta, Tumminia,Napoli, Musso

Alla tenda n. 18 dieci persone: Sancetta, Falsone, Campisi Salvato

Alla tenda n. 19 dodici persone: Pace, Caronna, Gallo, Lipari, Tusa

Alla tenda n. 20 venti persone: Stabile, Palazzo, Catalanotto, Cantavespri, Vella, Milazzo Vaccaro

Alla tenda n. 21 ventisette persone: Musso, Tubia, Noto, Melita Spata, Scibilia, Battiato, Noto

Alla tenda n. 22 sedici persone: Cannella, Valore, Circello, Messina, Lanfranca

Alla tenda n. 24 diciassette persone: Strada, Quartararo, Corte, Salvaggio

Alla tenda n. 25 undici persone: Tusa,Cangelosi, Tusa, Caprizzi, Milazzo, Cascio

Alla tenda n. 26 tredici persone: Restivo, Tarantolo,Pirrello, Musso

Alla tenda n. 27 Bambina, Catalano, Incandela, Culmone 

Alla tenda n. 29 sette persone: Maniscalco, Pendola, Mulè

Alla tenda n.30 ventotto persone: Roccamatisa, Binagia, Calia, Scaraglino, Parrino, Cusumano, Carnana

Alla tenda n. 31 tredici persone: Santalucia, Monteleone, Zinna, Nunziata, Maltese,Terranova


Sempre nella stessa zona vi erano abitanti di Gibellina distribuiti:

Alla tenda n. 23 dieci persone: Fontana, Digiovanni, Manfrè, Cuscino

Alla tenda n. 28 dodici persone: Tortorici, Pollari, Bonforte, Buonura

Alla tenda n. 32 nove persone: Aloisio, Tridico, Ippolito, Milazzo


Dopo l'entusiasmante quanto faticosa partecipazione al montaggio delle tende ed all’accorpamento per gruppi affini degli sfollati occorreva predisporre la gestione quotidiana degli stessi provvedendo alla distribuzione di vettovaglie per sistemarsi alla meglio nelle tende ed affrontare anche il freddo della notte.

Nel primo pomeriggio mi chiama il tenente medico nella sua tenda. Su un grande tavolo vi erano scatole di vari medicinali. Mi dice, per larghe linee, quali tipi di malessere potevamo fronteggiare con i medicinali disponibili.   Mi affida il compito di fare il giro delle tende, rilevare i nomi delle persone allocate in ciascuna tenda, e registrare i problemi sanitari e logistici che accusavano. Comincio subito, con l’aiuto di un altro giovane, a stabilire il contatto con quei brandelli di umanità sradicata, impaurita quanto dignitosa.  Loro non sapevano chi fossimo ma capivano che volevamo aiutarli. Ci accostavano ai militari dell’esercito che ci avevano affidato ruoli e compiti per contribuire ad organizzarli ed alleviare le drammatiche condizioni. Rilevavo ed annotavo i loro nomi, chiedevo chi della tenda potesse essere designato portavoce e responsabile del gruppo, poi registravo i problemi di salute ed annotavo gli estremi dei medicinali con cui si curavano, raccoglievamo le loro modeste istanze. Prevalentemente chiedevano di inoltrare un  telegramma ad un parente per rassicurarlo delle condizioni di salute. La famiglia Santalucia della tenda 31 ci chiedeva di comunicare a Russo Francesco di Mazara del Vallo  che la famiglia gode di ottima salute. Nella tenda n. 30 lamentavano che la tenda era piccola per 27 persone. Nella tenda 24 vi era un neonato di pochi mesi che richiedeva particolari cure. Nella tenda n. 40 una signora anziana di 71 anni, Pantaleone Margherita, non voleva mangiare.

Alla fine della giornata, sfiniti dalla stanchezza e dalla tensione, ci ritroviamo tutti in una grande tenda dove erano stati accumulati gli indumenti che erano stati scaricati dagli elicotteri nel pomeriggio. Sistemiamo alla meno peggio un giaciglio dove dormire. Naturalmente restiamo vestiti sia per il freddo sia per essere pronti in caso di necessità. Una notte che non passava mai. Familiarizziamo presto con i continui lontani boati e le  leggere scosse che ci accompagneranno per tutto il periodo di nostra permanenza in quella zona.