1979

LA VICENDA FREDA

01 - La premessa

Era il primo pomeriggio di un giorno di fine estate del 1978 quando mi raggiunsero a Gallico Marina Umberto Pirilli e Renato Meduri. Erano venuti a chiedermi se avevo la possibilità di ospitare un loro amico che era in difficoltà.

Mi spiegarono che si trattava di un personaggio politico e che l’ospitalità era soltanto per un breve periodo di dieci giorni in quanto avrebbe dovuto subito dopo allontanarsi dalla Calabria.

Acquisita la mia disponibilità mi rivelarono l’identità dell’ospite. 

Qualche giorno dopo mi avvertirono del fatto che avevano fornito il mio numero telefonico ad alcune persone che mi avrebbero contattato per riferirmi dove e quando sarei dovuto andare a prendere l’ospite. 

Io parlai della cosa al mio amico Renato Meduri chiedendogli se fosse disposto ad accompagnarmi con la sua macchina ricevendone la disponibilità. 

Erano i primi giorni di settembre verso le ore 19 quando ricevetti una telefonata che mi avvertiva di portarmi a Gioia Tauro presso la colonnina di benzina dell’autostrada. 

Con la fiat 124 sport colore verde con alla guida il mio amico Renato Meduri ci portammo nel luogo indicato. 

Noi non conoscevamo né personalmente né di nome le persone che andavamo ad incontrare.

Era noto il volto dell’ospite poiché in quel periodo la sua foto appariva spesso sui giornali ma con lo stesso, in precedenza, non vi era mai stato alcun rapporto. 

Per questo motivo telefonicamente avevo indicato le caratteristiche della macchina. 

Fu così che appena giunti sul piazzale veniamo avvicinati da due giovani che accertatosi della nostra identità ci fecero avvicinare alla loro auto consegnandomi qualche bagaglio e trasferendo l’ospite sulla nostra auto. 

Subito ci avviammo verso Reggio. 

Poche parole lungo il viaggio. Poi giungemmo a destinazione dove l’ospite con i suoi pochi bagagli si sistemò nel nuovo ambiente dove restò, da solo, per un certo periodo. 

Rimase a Reggio Calabria per quasi otto mesi. 

Nell’arco di tale periodo cambiò rifugio almeno otto volte. 

Sul finire della sua permanenza a Reggio, per un breve periodo di 20-30 giorni fu ospite anche presso l’abitazione di Barreca Filippo. Gli altri rifugi erano spazi nella disponibilità di persone impegnate politicamente con il MSI.

Nessun aiuto finanziario sostenne l’ospitalità e l’espatrio. Le somme necessarie al deposito presso la banca del Costa Rica per ottenere la residenza provennero dalla vendita di un immobile di Padova di proprietà della madre dove aveva avuto sede lo studio legale. La compagna ebbe, durante questo periodo, qualche colloquio e curò i rapporti con quanti dovevano fornire il passaporto. 


Indice


01 - Premessa

02 - La permanenza di Franco Freda a Reggio Calabria

03 - La fuga di Franco Freda da Catanzaro

04 - Le ragioni dell’ospitalità data a Franco Freda

05 - L’espatrio di Franco Freda

06 - Il passaporto procurato a Franco Freda

07 - Perché Barreca ospita Franco Freda

08 - La ndrangheta nella fuga di Franco Freda

09 - I servizi di Franco Freda nella fuga e all'espatrio di Franco Freda

10 - La ricostruzione giudiziaria sui sostenitori di Franco Freda

11 - La massoneria e Franco Freda

12 - I motivi delle false dichiarazioni dei collaboratori

13 - La massoneria raccontata da Lauro

14 - La massoneria vista da Barreca

15 - L’incidenza politica di Franco Freda a Reggio

16 - I teoremi annunciati

17 - La massoneria attraverso i processi

18 - La superloggia

19 - I sistemi criminali ed il separatismo

20 - Gladio

21 - Romeo ed i servizi segreti

22 - Il MSI e le organizzazioni extraparlamentari

23 - La militanza politica di Romeo

24 - Le prove sulla militanza disattese

25 - I moti studenteschi del 1968

26 - Il comizio di Borghese del 1969

27 - I moti di Reggio

28 - I tentativi di Colpo di Stato

29 - Il deragliamento del treno a Gioia Tauro

30 - Il distacco dal MSI e la vicenda Franco Freda

Allegati

02 - La permanenza di Franco Freda a Reggio Calabria

02.1 - Come mai Franco Freda rimane a Reggio Calabria per otto mesi prima di espatriare?

Allorquando mi venne richiesto il sostegno mi si precisò che si trattava di dare ospitalità per una quindicina di giorni. Non conoscevo quali fossero i piani e le modalità della fuga di Franco Freda da Catanzaro ne tanto meno avevo chiesto di sapere quali propositi avessero per il dopo. Mi ero limitato ad accettare di prestare un aiuto temporaneo che immaginavo costituisse un segmento di un più puntuale ed articolato programma che avrebbe dovuto sottrarre un camerata da una ingiustizia di regime. Non ho avuto la sensazione che l’operazione potesse essere, come non lo è stata, frutto di un'organizzazione politica. Le persone che mi avevano chiesto l’aiuto non erano appartenenti ad alcun gruppo politico. Erano due professionisti che avevano militato nelle organizzazioni universitarie del MSI operanti nell'Università di Messina, con i quali avevo condiviso le battaglie politiche sul finire degli anni ‘60’, che prestavano aiuto a Franco Freda con lo stesso spirito e per le stesse ragioni che hanno determinato il mio coinvolgimento. La percezione che avevo avuto è che si trattasse di una decisione improvvisa determinata da fatti appresi in quei giorni. Mi occuperò di questi fatti, che mi verranno riferiti successivamente, per valutare alcuni profili legali ed eventuali iniziative giudiziarie. Scoprirò dopo, giorno dopo giorno, che non vi era nulla di programmato se non l'urgenza di eclissarsi per poi decidere cosa fare.


03 - La fuga di Franco Freda da Catanzaro

03.1 - Vuole dire che non sapeva chi e come Franco Freda avrebbe raggiunto Reggio Calabria ne tanto meno le ragioni della fuga ed i propositi futuri?

Esattamente. Ho appreso dagli atti processuali, molti anni dopo, che Aleandri, Allatta, Calore, Fachini, Latino, Raho, Sica, Scorza erano imputati per avere organizzato la fuga di Franco Freda dal soggiorno obbligato di Catanzaro e, in particolare, procurando e conducendo le due autovetture utilizzate per l’attuazione del piano di fuga. Alcuni di loro, nell’ambito di alcuni processi, assumeranno la posizione di collaboratori di giustizia e ricostruiranno in ogni particolare la vicenda. Per rendersi conto del rapporto da me avuto con Franco Freda bisogna sapere che nonostante il ruolo da me esercitato non ho mai chiesto di sapere i particolari della fuga né tanto meno di conoscere il nome delle persone o dei gruppi che lo avevano aiutato.


03.2 - Lei avrà avuto modo di parlare con Franco Freda sin dai primi giorni della sua permanenza a Reggio,vada che per ragioni di prudenza non ha chiesto dei suoi complici nell'operazione fuga, come mai non ha chiesto allo stesso quali fossero i suoi propositi futuri?

Evidentemente Lei non ha avuto modo di conoscere Franco Freda. A parte il fatto che il primo periodo era da me considerato come un pericoloso pacco da custodire e preservare da occhi ed orecchie indiscrete sicché non vi era ragione alcuna per occuparsi di fatti che rientravano nella sfera altrui ma, di più, lo stesso veniva percepito, anche a cagione del clamore mediatico di quei giorni, come una sfinge riluttante a qualsiasi interlocuzione. Non lo avevo mai conosciuto prima di allora ne avevo avuto affinità culturali o politiche con il mondo che si assumeva esprimesse. Vi era, quindi, anche la distanza derivante dall’appartenenza a due realtà politiche diverse che imponevano contegno e riservatezza. Io dovevo soltanto ospitare, con molta prudenza. Ciò comportava che tutte le volte che lo incontravo per l’approvvigionamento gli argomenti di conversazione riguardavano al massimo i commenti mediatici della vicenda. L’evento determinò un vero e proprio terremoto politico. Si levò unanime una indignazione popolare verso un governo incapace di assicurare il controllo e la vigilanza a sorvegliati eccezionali e speciali quali Franco Freda e Ventura. Seguirono le dimissioni del capo della polizia e venne dichiarata la disponibilità alle dimissioni da parte del Ministro Degli Interni on. Scalfaro. Inoltre in situazioni del genere, quando tu non sei organico e partecipe di un progetto, meno sai e meglio è per tutti. Sono queste le ragioni per le quali non ho mai chiesto notizie ed informazioni che non fossero attinenti alla contingenza della sua posizione. 


03.3 - Se inizialmente le viene richiesto di ospitare Franco Freda per 15 giorni chi e come le richiede la proroga?

Nessuno mi ha mai più chiesto di avere pazienza e di occuparmi ancora oltre i quindici giorni degli aspetti logistici di Franco Freda perché vi erano stati inconvenienti e fatti imprevisti sopravvenuti che avevano modificato il percorso programmato. Ora non ricordo precisamente come e quando è avvenuto che inizio, per necessità, a interloquire con Franco Freda della sua posizione e traggo il triste convincimento che mi trovavo dinanzi ad un uomo solo, ricercato dalle polizie di tutto il mondo, che poteva contare soltanto su due donne, la madre e la sua compagna Rita Cardone, che manteneva i contatti con qualche amico di famiglia del Franco Freda. Probabilmente, ma le assicuro che è soltanto una mia considerazione, Franco Freda e Ventura pensavano che la sentenza potesse essere pronunciata entro l’anno 1978 e, nonostante avessero avuto notizie certe sulle pressioni esercitate sul giudicante, hanno valutato di attendere la pronuncia della sentenza mantenendo una posizione di libertà che consentisse di decidere del loro futuro, sperando sempre in un assoluzione.


04 - Le ragioni dell’ospitalità data a Franco Freda

04.1 - Quindi Lei personalmente si occupa per l’intero periodo della permanenza e dell’espatrio di Franco Freda?Per quale ragione assume tale onere?

Si è proprio così. E’ difficile, se non impossibile, comprendere oggi, lontani e distanti dal clima e dalla tensione ideale di quegli anni, perché una persona possa fare tutto questo in modo disinteressato, senza considerare gli aspetti legali e morali che l’attività intrinsecamente ed oggettivamente comportava. Eppure avevo trent’anni, felicemente sposato, padre di due figli, esercitavo ormai da quasi otto anni l’attività di avvocato e potevo considerarmi ampiamente soddisfatto atteso che ero riuscito, dopo il tirocinio presso prestigiosi studi cittadini, a mettere studio in proprio, dal 1971 ero consigliere comunale di Reggio Calabria e ricoprivo importanti incarichi nazionali del MSI. Perché mettere in gioco tutto? Lo può comprendere soltanto chi ha vissuto da universitario attivamente il ’68’, chi organizzava i primi soccorsi ai terremotati di Gibellina in Sicilia, chi ha attraversato nelle piazze la stagione degli opposti estremismi, chi si esaltava di essere ghettizzato dal sistema politico imperante perché aveva il privilegio di essere fuori dal regime, chi ha scelto di vivere secondo le modalità dell’essere e non dell’avere, animato da forti ideali e da saldi valori. Gli altri devono operare acrobatiche dietrologie per dare una spiegazione a comportamenti che, dalla mia posizione politica, pervaso da un’alta tensione ideale, venivano percepiti naturali e doverosi. 


04.2 - Perché non vi era riprovazione della gente verso simili condotte che pure erano penalmente rilevanti? 

Il clima del periodo a destra e sinistra, Si usciva da un periodo di guerra civile 

Il manifesto di solidarietà


04.3 - In tale impegno viene sostenuto in modo stabile e permanente da altre persone?

No! Assolutamente. La partecipazione di tanti amici legati da una comune fede e militanza politica alle tante incombenze che il caso ha richiesto è stata occasionale spesso a compartimenti stagni. Quando sono andato a rilevarlo a Gioia Tauro ho chiamato Renato Meduri. Quando ho avuto necessità del passaporto ho coinvolto Mario Vernaci. Quando sono andato dai parenti a Benevento sono stato con Marino Nino. Quando ho dovuto sollecitare il rilascio del certificato del Casellario giudiziario ho investito del problema Umberto Pirilli. Quando dovevo cambiare del denaro in dollari ho interpellato Carlo Colella. Quando avevo necessità di utilizzare la struttura dello studio ho coinvolto Sembianza e Politi. Quando doveva raggiungere la Francia attraverso il confine di Ventimiglia ho coinvolto altri personaggi a titolo personale. Le circostanze non consigliavano una gestione assembleare o partecipate pur se in alcuni momenti è stata abbassata la guardia concedendosi momenti di imprudente libertà come qualche passeggiata sul Corso Garibaldi, la visita e la presenza allo studio di via XXI Agosto, qualche intervista a Ciccio Franco con Franco Freda accreditato come giornalista Veneto e così via.


04.4 - Le decisioni relative alle singole iniziative da assumere per le attività dispiegate Lei li assumeva consultando altre persone?

L’unico con cui condivido le cose da fare era Franco Freda e di volta in volta le persone a cui chiedevo sostegno. 


04.5 - Nel periodo di permanenza a Reggio Franco Freda quale persone ha incontrato e per quali ragioni?

Se ponessimo la stessa domanda a Barreca o Lauro ci fornirebbero un lunghissimo elenco di magistrati, docenti universitari, politici, ministri, generali dell’arma ed esponenti della criminalità locale. Secondo i loro racconti Franco Freda avrebbe contattato e coinvolto nella costituzione di una super loggia massonica decine di personaggi influenti della provincia, per il perseguimento di un progetto politico eversivo e per la gestione del malaffare della città e della provincia di Reggio Calabria. Le persone che realmente ha incontrato negli otto mesi di clausura a Reggio Calabria sono quelle persone che ho sopra richiamato oltre a Cardone Rita. Le ragioni degli incontri erano strettamente legate alle cose da fare per agevolare l’espatrio. E poi occasionali incontri con persone che non conoscevano la sua identità.


05 - L’espatrio di Franco Freda

05.1 - A proposito di espatrio. La volontà di espatriare e la scelta di farlo in Costa Rica quando maturò?

Come le ho già riferito non ho mai approfondito quali fossero i programmi di Franco Freda allorquando decise di allontanarsi da Catanzaro. E’ certo che decise improvvisamente di farlo per le ragioni che più volte egli ha confermato in alcune deposizioni circostanze riportate dalla stampa nazionale anche all’epoca dei fatti. La decisione maturò perché avevano appreso, Lui e Ventura, che erano state esercitate pressioni sul giudice Scuderi perché pronunciasse sentenza di condanna e quest’ultimo era stato tentato di rinunciare al processo per le indebite pressioni subite. La sentenza di condanna venne pronunciata nel mese di febbraio 1979 a distanza di circa quattro mesi dalla fuga. Fu in seguito alla sentenza che maturò la decisione di espatriare e quindi la frenetica ricerca dello Stato che non aveva convenzioni di espatrio con l’Italia. Ricordo che venne fatta una accurata ricerca in tal senso e ciò a riprova del fatto che non vi era nulla di preordinato al momento dell’allontanamento da Catanzaro.


06 - Il passaporto procurato a Franco Freda

06.1 - E’ stato lei a richiedere il passaporto a Vernaci perché, contraffatto, venisse utilizzato da Franco Freda per l’espatrio?

Sì sono stato io, in piena autonomia a chiedere la disponibilità a Mario Vernaci del passaporto che, senza alcun tentennamento, me la accordò.


06.2 - In quale periodo chiede il passaporto da fornire al Franco Freda?

Se non ricordo male subito dopo la sentenza di condanna del 23 febbraio 1979.


06.3 - Perchè pensa a Mario Vernaci?

Io non ho mai avuto il passaporto altrimenti non l'avrei chiesto ad altri. Mario Vernaci era un mio antico fraterno amico di famiglia. Era stato compagno di classe, per cinque anni, al Tecnico Industriale di Reggio Calabria di mio fratello Vincenzo ed era un attivista delle organizzazioni giovanili del MSI, della Giovane Italia prima e del Fronte della Gioventù dopo, ovvero, nello stesso periodo in cui ero presidente delle stesse associazioni. Ero in quel periodo anche difensore del fratello implicato in un procedimento penale che si celebrava innanzi al Tribunale di Reggio Calabria. I suoi dati anagrafici erano verosimilmente adattabili a Franco Freda.


06.4 - Chi si era occupato di recuperare un passaporto falso prima di Lei? 

Il passaporto doveva essere procurato inizialmente dalla signora Rita Cardone ma il tempo

passava ed il passaporto non arrivava da qui la mia iniziativa per accelerare i tempi.


06.5 - Chi si occupa della falsificazione del Passaporto?

Il passaporto con le fotografie ritraente Franco Freda in aspetto travisato, con barba, capelli e baffi neri e viene consegnato a Rita Cardone che, credo, lo abbia consegnato a qualcuno a Roma che farà eseguire la falsificazione.


06.6 - Presso quale studio fotografico vengono stampate le foto raffiguranti Franco Freda?

In via XXI Agosto nello studio fotografico Sortino ubicato accanto al portone di ingresso del mio studio. Era un primo pomeriggio del mese di marzo quando Franco Freda dal suo rifugio di Pellaro sale sull’autovettura da me guidata e raggiungiamo prima lo studio legale per portarci subito dopo presso lo studio fotografico. Le fotografie ci verranno consegnate qualche giorno dopo.


06.7 - I documenti del Vernaci richiesti al Comune di Chiusa Sclafani ed al Tribunale di Palermo a cosa servivano e chi li ha richiesti?

Ricordo che per perfezionare la pratica di residenza in Costarica il Franco Freda aveva necessità di produrre due certificati di carichi pendenti dal Casellario Giudiziario di Palermo per ottenere i quali era necessario produrre due certificati di residenza e un certificato di nascita. Accade così che per il Franco Freda sollecita dal Costarica tali documenti. La sig.ra Cardone che riceveva la richiesta me la trasmette e così sollecito Vernaci ad acquisire i certificati e, al fine di accelerare i tempi, chiedo a Pirilli di intervenire su un suo amico di Palermo, l’avvocato Bruno, perché si occupasse della richiesta al casellario Giudiziario. Se non ricordo male il Vernaci di fece carico di procurarsi gli altri certificati.


07 - Perché Barreca ospita Franco Freda


07.1 - E’ stato Lei ad accompagnare Franco Freda da Barreca?

Lo escludo categoricamente. Inizialmente non sapevo che Franco Freda fosse stato ospitato da Barreca. Vero è che poiché vi era l'esigenza di fare attraversare la frontiera italo-francese per raggiungere un vicino aeroporto francese e volare in Costarica io chiesi ad un mio cliente di studio se avesse la possibilità, attraverso un suo personale sistema di relazioni, di interessarsi della questione. Per tale ragione io affidai alle cure dello stesso il Franco Freda perché lo trattenesse in attesa di un suo trasferimento al confine italiano. Difficoltà sopravvenute determinarono un ritardo nello spostamento e da qui la permanenza del Franco Freda nella casa di Barreca.


07.2 - Lei quando ha saputo che Franco Freda si trovava dal Barreca?

Come le dicevo Franco Freda, a mia insaputa, venne “parcheggiato” presso Barreca, in attesa di essere accompagnato alla frontiera, dove si fermò per non più di venti giorni, e pertanto venni avvertito del fatto. Nella circostanza appresi dove si trovava. Mi fu riferita la cosa perché chiesi di poterlo andare a trovare per tranquillizzarlo essendo in comprensibile ansia nelle mani di persone che non conosceva.


07.3 - Lei conosceva Barreca?

Barreca era titolare di una colonnina di benzina sull’autostrada di Pellaro, abitava in una lussuosa villa alle pendici di Pellaro, era noto per qualche vicenda giudiziaria che lo aveva coinvolto. Io sposandomi, nel 1974, sono andato ad abitare a Pellaro, svolgo l’attività di avvocato e mi interesso anche di penale, ero un uomo pubblico per l’attività politica ed istituzionale che svolgo. Queste reciproche posizioni hanno determinato rapporti di normale conoscenza. Nessuna frequentazione o interlocuzione di alcun genere. Non sono stato mai suo difensore.


07.4 - Lei dice che non sapeva che Barreca ospitava Franco Freda però lo stesso afferma che fu lei ad accompagnare Franco Freda a casa sua chiedendogli di ospitarlo temporaneamente. 

Non avrei, oggi, motivo di negare la circostanza ove fosse vera. Sul punto Barreca fa molta confusione rilasciando in più occasioni dichiarazioni diverse e contraddittorie. Ribadisco che Franco Freda nella fase terminale della sua permanenza a Reggio finisce a casa Barreca, senza che io ne sapessi nulla, in attesa che maturassero i tempi per il suo trasferimento all’estero.


07.5 - Quindi Lei è andato a trovare Franco Freda a casa di Barreca?

Si una sola volta, da solo, per le ragioni che le ho appena detto. Invero tornai il giorno in cui assieme a Carmelo Vadalà andammo a prenderlo da Barreca per trasferirlo a casa sua dove sostò qualche giorno prima di essere accompagnato dallo stesso Vadalà, con la sua autovettura, a Ventimiglia.


07.6 - Come spunta fuori Vadalà, da chi venne coinvolto?

Carmelo Vadalà aveva frequentato l’Università di Messina militando nelle organizzazioni di destra in particolare nel FUAN (Fronte Universitario di Azione Nazionale). Lo stesso aveva rapporti di conoscenza con Barreca. Quando decisi, per accelerare i tempi, di interessarmi io del trasferimento a Ventimiglia del Franco Freda presso persone, a me ignote, ed investite della questione dal mio cliente, fui io ad interpellare Vadalà. Lo stesso era funzionale alle esigenze che in quel momento mi si presentavano. Poteva, per i suoi rapporti di conoscenza con il Barreca, recarsi a casa di quest’ultimo per prendere il Franco Freda, poteva ospitarlo a casa sua perché viveva da solo a Reggio Calabria, era proprietario di un’autovettura BMW idonea ad affrontare un lungo viaggio. Barreca non viene informato dei movimenti successivi di Franco Freda, sa soltanto che si trasferisce a casa di Vadalà.


07.7 - Per quali ragioni nel 1979 non racconta il tutto all’autorità giudiziaria di Catanzaro che indagava sulla fuga di Franco Freda?

Va precisato che in quel procedimento mi veniva contestato, il reato di favoreggiamento in concorso con Vernaci Mario e con altre persone non identificate, per avere mantenuto contatti con il Franco Freda latitante, offrendogli appoggio, aiuto e in particolare cooperando per procurare al medesimo documenti e certificati occorrenti per la latitanza, attuata sotto il nome di Vernaci. Le versioni rese, fondate su parziali verità, si facevano carico di non rivelare fatti e circostanze che avrebbero coinvolto altre persone verso le quali mi sentivo moralmente responsabile per averle sollecitate ad una collaborazione occasionale. 


08 - La ndrangheta nella fuga di Franco Freda


08.1 - E’ emerso nel 1979 il sospetto che la fuga di Franco Freda potesse essere stata organizzata e sostenuta dalla ndrangheta?

La vicenda giudiziaria all’epoca venne correttamente inquadrata nell’ambito di una storia politica con motivazioni riconducibili a scelte di solidarietà politica. Nonostante le confidenze rese dal Barreca al dr Canale Parola nel 1979 e successivamente nel 1993 e 1994, De Stefano Paolo, Martino Paolo, De Stefano Giorgio, Barreca Filippo, Vadalà Carmelo, non vengono indagati per il reato di favoreggiamento in relazione alla fuga di Franco Freda nel 1979. La cosa ancora più strana è che, nell’ambito dei tanti processi a carico degli stessi, per reati associativi instauratisi dal 1992 in avanti sulla base delle propalazioni dei pentiti, a nessuno di loro viene mai contestata una condotta criminosa in relazione a questi fatti. Sulla base di questi dati inconfutabili non è possibile affermare e/o ipotizzare che la fuga da Catanzaro, il sostegno alla latitanza di Franco Freda e al suo espatrio abbia avuto un sostegno da parte dell'organizzazione mafiosa. 


08.2 - Però le persone che hanno chiesto a Barreca di ospitare Franco Freda erano in odore di mafia?

Non vi è dubbio che in relazione alla fase relativa al valico della frontiera italo-francese è stato richiesto l’intervento di un mio cliente che aveva la possibilità di consentirgli il passaggio clandestino del confine. Ma si è trattato di un intervento personale e non già di una organizzazione o di un gruppo mafioso. La richiesta di aiuto non prevedeva alcuna contropartita. Era magari un modo, un'occasione per rendersi utile ad una persona. Niente di più. Sulla base di questi fatti non è possibile affermare esserci stato un patto tra interessi eversivi e criminalità organizzata. Intanto Franco Freda non rappresentava nessun gruppo eversivo. Come i fatti successivi si sono incaricati di dimostrare non vi erano progetti e programmi politici eversivi in forza dei quali si doveva stringere un accordo operativo, un patto con la organizzazione criminale locale ne tanto meno quest’ultima, ove mai avesse avuto ruolo nella vicenda, per sua natura poteva raggiungere i propri scopi sociali attraverso Franco Freda ed i suoi amici.


09 - I servizi di Franco Freda nella fuga e all'espatrio di Franco Freda


09.1 - Alcune ricostruzioni di quei fatti ipotizzano invece l’intervento dei servizi segreti deviati nell'organizzazione della fuga da Catanzaro?

La dinamica, le modalità organizzative ed i personaggi che hanno avuto ruolo nell’aiutare Franco Freda ad allontanarsi da Catanzaro sono state conclamate in numerosi processi penali dove i giovani protagonisti dell'operazione, assumendo la posizione di collaboratori di giustizia, hanno raccontato tutto nei minimi particolari. Il tentativo maldestro di dare dignità alle propalazioni di alcuni collaboratori di giustizia che indicavano in due personaggi, Zamboni e Saccà, i responsabili del trasferimento di Franco Freda da Catanzaro a Reggio è spudoratamente falso. Così come falsa e maldestra è stata l’attribuzione agli stessi dell’appartenenza ai servizi segreti e di essere massoni, che è stata smentita dalle perentorie dichiarazioni del Sisme e del Sisde, da altre autorevoli fonti acquisite agli atti del processo “Olimpia” oltre cha dalla intrinseca inattendibilità del fatto.


09.2 - Inoltre le stesse fonti attribuiscono alla organizzazione destefaniana e, quindi, ad una regia dell’organizzazione mafiosa l’intera operazione.

Una tale interpretazione dei fatti è contraria alla evidenza delle circostanze che pullulano in ordine sparso negli atti delle indagini e dei tanti processi penali celebrati per la vicenda.


09.3 - Ce ne vuole indicare alcuni?

È sufficiente leggere, cosa che certamente non ha fatto nessun giudicante, le intercettazioni telefoniche del 1978/79, depositate agli atti del processo. Esse possono essere distinte in tre gruppi: un primo gruppo di intercettazioni riguardano l'utenza telefonica di Cardone Rita e si riferiscono al periodo della latitanza di Franco Freda nell’anno 1978, un secondo gruppo quelle disposte dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria sulle utenze telefoniche installate presso lo studio dell’avv. Romeo ( 22094 –Sembianza 332962-Romeo , 33.0000 – Politi ) e si riferiscono al periodo giugno-agosto 1979, il terzo gruppo è costituito da quelle disposte dal giudice istruttore di Catanzaro, dr. Le Donne, e si riferiscono al mese di dicembre 1979 gennaio 1980 effettuate sull'utenza telefonica installata presso l'abitazione di Paolo Romeo. Dal contenuto delle conversazioni non vi è alcun elemento che possa in qualche modo far ritenere la esistenza di un qualche rapporto di Cardone Rita con esponenti della criminalità organizzata; il secondo gruppo, che cadono nel periodo in cui il Franco Freda era già in Costa Rica, fanno emergere il rapporto Cardone – Romeo, e l’attività di Romeo protesa a sollecitare certificati di Vernaci necessari al Franco Freda in Costa Rica. In esse e da esse si ricava l'assoluta inesistenza di rapporti di quel gruppo di persone con Barreca, Martino, De Stefano. Il terzo gruppo di telefonate fotografano lo stato d’animo di Romeo dopo la notifica della comunicazione giudiziaria ed il sistema di relazioni che egli manteneva. Nessuna telefonata in entrata o in uscita con elementi mafiosi, nessuna telefonata in entrata o in uscita con elementi della eversione di destra.

Oppure leggere gli appunti delle agende sequestrate a Franco Freda che si possono distinguere in due gruppi. Un primo gruppo è costituito da nomi, cognomi, numeri telefonici, indirizzi e così via che potremmo definire appunti statici e da una serie di altri appunti che invece servivano come pro memoria per le cose fatte o da fare. Quelle che riguardano Romeo appartengono a questo secondo gruppo e si riferiscono tutti al periodo in cui egli era in Costa Rica. Essi fanno riferimento alle attività e agli atti necessari perché Franco Freda acquistasse la residenza in Costa Rica. Anche questi appunti indicano la esistenza di rapporti in quel periodo di Cardone Rita con lo studio Romeo, una qualche attività di Romeo nella predisposizione di certificati a nome Vernaci, e comunque servono a chiarire che in tutta questa attività non emerge alcuna interferenza dei personaggi della criminalità o con gli altri che il Barreca introdurrà nel 92. 

O ancora le dichiarazioni confessorie dei giovani incaricati del trasferimento da Catanzaro a Reggio Calabria del Franco Freda. Ma veramente è pensabile che ove l’organizzazione destefaniana dell’epoca avesse avuto l’incarico dell’operazione doveva rivolgersi ai giovani romani, o avrebbe avuto difficoltà a trovare un passaporto falso non riconducibile a nessuno del territorio o a farlo espatriare in un breve lasso di tempo.


10 - La ricostruzione giudiziaria sui sostenitori di Franco Freda


10.1 - Ma anche la sua vicenda processuale ci consegna una verità giudiziaria di altro segno.

E’ accaduto che i giudici della Corte di Appello pronunciando il dispositivo della sentenza hanno statuito che i fatti addebitati non configurano l’ipotesi di una mia partecipazione organica alla organizzazione destefaniana, così come aveva affermato la sentenza di primo grado, bensì quella di un concorso esterno all’associazione. Poi hanno dovuto motivare la decisione. Da qui l’esigenza di piegare e spiegare i fatti in modo che potesse desumersi un mio aiuto alla cosca De Stefano, quindi, ha ricostruito l’episodio, senza alcun approfondimento degli atti di indagine, assumendo che Franco Freda si rivolge al gruppo De Stefano per ottenere protezione e rifugio e il gruppo De Stefano impegna e sollecita me ad occuparmi dell’operazione. E’ vero infatti che nella motivazione della sentenza della Corte di Appello si legge : “… si badi bene non si è trattato di una vicenda personale di colorazione esclusivamente politica ( come si è sostenuto da parte della difesa) con esclusione di ogni possibile risvolto di natura mafiosa, poiché non è stato un fatto realizzato da esponenti politici (istituzionali o deviati, poco importa), avulso dalla realtà mafiosa locale, bensì di una situazione contingente particolarmente difficile di un esponente della destra eversiva il quale si è rivolto ad un clan mafioso reggino per ottenere protezione e rifugio. E' stato il clan reggino, a sua volta, a servirsi di altro soggetto affidabile e vicino all'organizzazione per realizzare il progetto richiesto. Ciò si trae in maniera inconfutabile dal contenuto della lettera sulla quale hanno riferito il Barreca ed il vice questore Canale Parola: la missiva mirava a ringraziare il capo cosca per il suo intervento e non certo il Romeo il quale aveva semplicemente fatto la parte del sostegno in fase esecutiva attraverso i suoi personali contatti con Filippo Barreca, boss di Pellaro, località ove egli, tra l'altro, era residente, su chiaro interpello del De Stefano. Si è trattato di un momento storico in cui gli interessi di un soggetto, portatore di ideologie estremiste, hanno trovato negli interessi di un gruppo mafioso una corrispondenza, fondata su una possibile, futura utilità conseguente a tutta l'operazione realizzata attraverso sostegni diversi, ma sempre di natura mafiosa. Se la vicenda si fosse esaurita nella ristretta cerchia dei sostenitori ideologici del Franco Freda, davvero nessun argomento avremmo potuto utilizzare a carico del Romeo nel contesto dell'imputazione, ma così non è stato poiché proprio l'intervento personale del capo cosca e di altri accoliti della medesima cosca e di mafiosi di gruppi viciniori come Filippo Barreca legittima la conclusione che l'episodio si realizzò nel contesto di uno specifico disegno, temporalmente determinato, della cosca De Stefano-Tegano con l'ausilio di un personaggio disponibile come Romeo Paolo.”

Una tale conclusione nella ricostruzione di quei fatti è certamente confliggente con gli atti riversati nel processo, pur se lacunosi e marginali, con le numerose altre pronunce penali che avevano ad oggetto specifico la fuga di Franco Freda e, certamente, costituisce una violenza alla verità storica dei fatti.


Le indagini a sostegno della esistenza di un patto eversione-criminalità hanno anche ipotizzato, sulla base delle dichiarazione di alcuni collaboratori, che Lei assieme a Franco Freda avete costituito, nel periodo della sua latitanza a Reggio Calabria, una potente super loggia massonica della quale facevano parte pezzi deviati delle Stato e delle istituzioni nonché i più importanti esponenti mafiosi della provincia di Reggio Calabria. Ma procediamo con ordine. 


11 - La massoneria e Franco Freda


11.1 - Lei ha mai fatto parte della massoneria? 

Non ho mai fatto parte della massoneria perché non sono stato mai iscritto ad alcuna loggia massonica né ufficiale né deviate come si definiscono. Invero al di là della mia affermazione, nell’ambito delle indagini che mi riguardano ed anche negli atti delle numerose inchieste sul tema avviate da diverse Procure italiane, sono state rovistate tutti gli elenchi degli iscritti alla massoneria di tutto il mondo, alcuni riversati agli atti del mio processo, ed il mio nome non figura in nessun elenco. Devo anche aggiungere che la mia formazione culturale, la mia visione sociale ed anche il mio carattere mal si conciliano con l’essere massone. Ho sempre ricercato e privilegiato il rapporto con la gente, a viso aperto, per il piacere di confrontarmi ed eventualmente scontrarmi con gli altri. Ho sempre rifuggito dalle tentazioni di fare gruppo in una logica di conquista del potere. In quasi tutte le compagini politiche in cui ho operato ho scelto sempre le minoranze per il piacere di trasformarle in maggioranze. Mi gratificava e divertiva praticare queste dinamiche piuttosto che gestire potere. Mi piaceva, così come ancora, cimentarmi nelle imprese difficili.


11.2 - Quindi non venne sollecitato mai da alcuno ad essere iniziato al rito massonico?

Negli anni della mia militanza nelle organizzazioni missine non mi è mai capitato di ricevere sollecitazioni di questo genere. Ero troppo fiero del mio totale, attivo ed integrale impegno politico che storicamente e culturalmente era distante dalla storia della massoneria per essere interessante e candidabile alla sua pratica. Mi imbarazzò molto durante il primo periodo della mia attività politica nel PSDI, dopo la mia riconferma a consigliere comunale eletto nelle liste sociademocratiche, una proposta di adesione ad una imprecisata loggia massonica rivoltami da un collega avvocato, simpatizzante di destra, ma amico di Costantino Belluscio all’epoca parlamentare. Per garbo e rispetto verso il più anziano collega chiesi qualche periodo per riflettere sapendo bene che avrei risposto no grazie. Mi mortificai in un certo senso per la richiesta. Pensai che percepiva ed interpretava il mio passaggio al PSDI come una personale ricerca di spazi di potere e che voleva incunearsi in questa mia debolezza per offrirmi opportunità di sistemi relazionali, riservati, che potessero aiutarmi nel fare carriera. Le scelte che avevo fatto assieme ad altri avevano altre motivazioni. Noi non avevamo rinunciato ad essere noi stessi lasciando il MSI. Pensavamo di sperimentare un altro modo di essere e di fare politica. E’ esattamente ciò che farà tutta la classe dirigente missina un decennio successivo.


11.3 - Franco Freda, dalla frequentazione che lei ha avuto, era massone?

Posso risponderle con le parole che Franco Freda, sull’argomento, ha pronunciato all’udienza del giugno 1999 : “io sono stato interrogato dal magistrato di Catanzaro a proposito di un riferimento che veniva fatto alla mia persona su contatti con la massoneria. Sono costretto a ricordare che da un punto di vista ideologico, i miei ascendenti diretti sono i fascisti, è un fatto notorio. Il Fascismo, come il Nazionalsocialismo erano nemici fieri ontologicamente avversari di istituzioni di tipo massonico, insomma. Da un punto di vista culturale, per chi si situa come me in un ambito di cultura antidemocratica, la massoneria ha la responsabilità maggiore nello scoppio della rivoluzione francese e quindi di quelle concezioni, di quelle tesi illuministiche che poi hanno dato origine allo stato della nostra modernità, della nostra contemporaneità. Mi sembra un’attribuzione che può suscitare soltanto una smorfia di sorriso, insomma, da parte mia, che io abbia potuto avere contatti o contiguità, o nessi o connessioni con strutture o con uomini appartenenti ad organizzazioni massoniche.” … “Ripeto, da un punto di vista ideale, da un punto di vista ideologico, le mie ascendenze genealogico - politiche sono dichiaratamente, fermamente, radicalmente, ontologicamente, se consente questo avverbio, antimassoniche.”


11.4 - Perché mai Barreca accosta il pensiero di Franco Freda alla massoneria e poi costruisce tutta la storia della super loggia massonica?

Franco Freda riferisce, sempre nel corso del suo interrogatorio reso nelle fasi dibattimentali del mio processo, che: “ Proprio in quel periodo (quando era ospite di Barreca) io traducevo, a proposito della sua domanda sulla massoneria, un classico del pensiero antimassonico che, proprio oggi, siccome la mia casa editrice stampa presso una tipografia di Villa, sono andato ed ho ritirato le copie della copertina che posso anche mostrare. Ricordo che quest’opera la tradussi allora, nel 1979. Quest’opera si intitola “La massoneria e la rivoluzione intellettuale del XVIII secolo”. Non potevo, io credo, impegnarmi nella traduzione di questo classico antimassonico e, contemporaneamente, a meno che non sia anch’io un soggetto schizoide, costituire o contribuire alla costituzione di una loggia massonica.” 


11.5 - Perché avrebbe dovuto inventarsi, sulla sola base di questi dati, la storia della super loggia massonica costituita da Lei e da Franco Freda?

Posso affermare, senza tema di essere smentito, che Barreca inventa tutta la storia per sostenere le bugie di Giacomo Lauro e tutte due per compiacere gli inquirenti che inseguivano le prove sull’esistenza della masso-mafia. Agli atti del processo “Olimpia”, volume 24 parte VIII avente ad oggetto “ ancora su ndrangheta e massoneria deviata” da pagina 86200 a pagina 86287 depositato il 13.03.1995 dalla Dda si può leggere infatti: “Si denuncia la presenza in Reggio Calabria di una ulteriore, moderna, dirompente, illecita” entità”, definibile quale naturale risultanza dello storico accostamento tra i vertici del cosmo malavitoso e fratellanza massonica deviata” (pag.86252). Ma c’è di più e se vuole ne parleremo. In quel periodo anche la DDA di Reggio Calabria era stata sollecitata dalla DNA a indagare sulla ipotesi investigativa portata avanti dalla Procura di Palermo denominata “Sistemi criminali” sicchè i collaboratori venivano compulsati anche su quelle ipotesi. I verbali di interrogatorio dei collaboratori finiranno infatti anche nell’abito di quella indagine.

 

12 - I motivi delle false dichiarazioni dei collaboratori


12.1 - Per compiacere gli inquirenti?

Si, proprio così. Ma vi è di più. Era il periodo in cui era aspro lo scontro all’interno del Palazzo di Giustizia tra magistrati. Basti pensare alla relazione Ministeriale dell’ispettore Nardi (L’ispettore del ministero della Giustizia, dott. Nardi, a conclusione della relazione riguardante le fibrillazioni registratesi nel palazzo della giustizia di Reggio Calabria dagli anni 92 in avanti, delinea una “realtà fatta, soprattutto, di odi e di rancori, di contrasti e tensioni, di rivalse e di vendette, di complotti e di macchinazioni perverse, dove ogni cosa – anche la contrapposizione ideologica – finisce con l’essere personalizzata ed immiserita … anche i magistrati, che dovrebbero distinguersi e costituire un punto di riferimento, danno, per lo più, l’impressione di non riuscire a sottrarsi ad un tale “modus vivendi” e di non essere pienamente inseriti in una così desolante realtà, tanto da non essere in grado di staccarsene… sicché preziose energie vengono sottratte al lavoro giudiziario per essere sprecate in deplorevoli iniziative ( processuali e non) per contrastare gli uni con gli altri… per altro accade anche con l’alibi della lotta alla mafia ed alle diffuse illegalità nei gangli della vita pubblica, si scoprono nefandezze abusi di ogni genere e - quello che è peggio - si pretende quasi di acquisire una sorta di impunità”.) per rendersi conto del clima e del livello dello scontro tra gruppi di magistrati reggini che si estende alla dirimpettaia Messina e che si tradurrà in una serie di arresti di magistrati. Ed era lo stesso periodo in cui il notaio Marrapodi, notoriamente massone reggino, denunciava l’appartenenza alla massoneria di alcuni magistrati. Gli investigatori di quel momento erano parte dello scontro e quindi freneticamente interessati a trovare elementi per colpire i magistrati avversari. Ed è così che, con l’ausilio dei loro collaboratori, abilitati all’epoca a riservati colloqui investigativi con i collaboratori di giustizia liberissimi di incontrarsi e concertare, quando addirittura non conviventi in una stessa struttura, sollecitano Lauro e Barreca a dire tutto ciò che sanno e che immaginano sui rapporti tra massoneria, potere giudiziario, criminalità organizzata, poteri deviati dello Stato ed eversione nera. Comincia così un ossessivo pressing sui due collaboratori.


12.2 - E’ possibile che possano raccontare fatti gravissimi ed accusare i rappresentanti del potere cittadino soltanto per la voglia di compiacere?

Vi era un grande interesse degli inquirenti ad indagare per raccogliere elementi sul fenomeno della massoneria deviata. Un interesse manifestato più volte dagli inquirenti in pubbliche dichiarazioni. Vi era inoltre il teorema della presunta esistenza della entità superiore che aveva governato il malaffare nella città di Reggio Calabria, lo scontro interno alla magistratura e le dichiarazioni del notaio Marrapodi, la naufragata indagine sulla massoneria del dr Cordova procuratore di Palmi. I collaboratori di giustizia vengono perciò torchiati, pressati a dire tutto ciò che immaginano; vengono utilizzati come oggetto contundente in drammatici confronti con testimoni (Lauro-Marrapodi, Lauro Zamboni). Alcuni collaboratori percepiscono la libidine investigativa, concertano tra di loro per offrire versioni non discordanti, ragionano su come monetizzare il contributo richiesto. Ed ottengono gratificazioni di ogni genere. 


12.3 - Ed è soltanto questo meccanismo ad avere prodotto le dichiarazioni dei collaboratori? 

Al di là di questa inclinazione dei collaboratori, derivante dal regime trattamentale vigente all’epoca, sono le “rivelazioni” di Lauro sulla massoneria rese il 30 marzo del 1994. Egli subisce una volgare violenza psicologica nel corso dell’interrogatorio del 30 marzo. E` da queste propalazioni che poi prenderà corpo, forse per l'esigenza di sostenere tesi in altri processi, la super loggia massonica di Franco Freda e da queste suggestive rivelazioni che si materializzerà (!), a gennaio del 1995, anche l’agenda del Preside Zaccone.


12.4 - Che tipo di violenza psicologica subisce Lauro?

Era accaduto, il 28 di marzo del 1994 che Bruno Lauro, fratello di Giacomo Lauro, veniva arrestato a Roma, assieme al genero. Si era conclusa un'indagine che aveva scaturigine da un anno di intercettazioni telefoniche realizzate sulla sua utenza telefonica nella disponibilità di Lauro Giacomo installata nella sua residenza di via Conca D’Oro. Egli disponeva di un appartamento del Ministero degli Interni, quello stesso appartamento dove aveva ospitato Olga Julia Jimenez, per una settimana, nello stesso periodo in cui il compagno di Olga tale Julio Jimenez, con il fratello di Giacomo, sbarcava cinque chili di cocaina al porto di Ravenna, controllati e diretti telefonicamente da Giacomo. Lauro sapeva dell’arresto dei suoi congiunti, conosceva il contenuto del provvedimento custodiale, aveva piena consapevolezza di essere stato colto con le mani nel sacco. Aveva ben presente i rischi che correva. Chi vi era tra gli inquirenti che lo interrogano proprio Lui, il dottore Pennisi, titolare dell’indagine “Zumbo più altri”.


12.5 - E quindi?

A conclusione del verbale, nel quale egli aveva detto tutto quanto poteva dire contro il Giudice Giacomo Foti, che finirà arrestato per quelle sue dichiarazioni, salvo ad essere successivamente assolto; contro il notaio Marrapodi che finirà prima imputato e poi suicida. Alla fine di queste sue propalazioni devastanti per pezzi delle istituzioni di questa città, rivela alla fine di quel verbale del 30 aprile 1994 che gli constava esserci la costituzione di logge massoniche alle quali farebbero parte tutti i più grossi e autorevoli esponenti della criminalità organizzata, e che si era realizzata dopo la prima guerra di mafia, questo intreccio perverso, questa unione tra criminalità e massoneria che egli non esita a definire che a seguito di quegli eventi e di quelle iniziative, Massoneria e ‘ndrangheta finirono per essere una sola cosa. Lauro per oltre un anno ancora ( aprile 1994-maggio 1995 ) vive con la spada di Damocle di una vicenda giudiziaria dalla quale dipende la sua sorte di collaboratore ed il crescendo delle sue dichiarazioni è correlato al rocambolesco salvataggio che opereranno per salvare Lui e tutte le indagini in corso.


12.6 - Perché sostiene che Barreca riferisce circostanze sul tema della massoneria per sostenere Lauro nelle sue fantasiose affermazioni?

Sull’argomento in particolare i due concertano le versioni da propinare per offrire riscontro incrociato alle dichiarazioni. I due all’inizio della loro collaborazione riferiscono un certo tipo di rapporti tra massoneria, politica e mafia frutto di una loro particolare idea del fenomeno. Nel tempo modificano il loro pensiero, affinano i loro ricordi e riescono a fare convergere i loro racconti.


12.7 - Quale è stata l’evoluzione del pensiero di Lauro sul tema?

Lauro propone le sue conoscenze sulla massoneria in ben 12 verbali e ci offre due immagini completamente diverse dell'organizzazione e dei suoi rapporti con le organizzazioni mafiose. Possiamo individuare due periodi diversi a cui corrispondono le diverse prospettazioni della massoneria; un primo periodo comprende le dichiarazioni del 24.9.92, 5.12.92, 4.2.93 e 27.8.93 poi sette mesi di silenzio sul tema, e poi un secondo periodo quello che ha inizio qualche giorno dopo l'arresto del fratello Bruno e con l'incriminazione del notaio Marrapodi, il 30.3.1994 e prosegue con il confronto Lauro-Marrapodi del 29.6.94, con i verbali del 10.10.94, 23.2.95, 24.2.95, 24.2.95, 3.3.95 ed ancora due verbali di udienza del 10.12.94 e 4.5.95.


13 - La massoneria raccontata da Lauro


13.1 - Quale è il primo pensiero di Lauro sulla massoneria?

Le prime indicazioni che Lauro ci offre sono quelle di una organizzazione cui aderiscono professionisti e magistrati, con alcuni suoi esponenti che non disdegnava di aiutare la mafia. Egli dirà nel memoriale del 4 febbraio ‘94 che: "la gente ambiva ad iscriversi alle logge massoniche, perchè in esse trovavano amicizia e solidarietà per i fini e gli interessi più abietti. La massoneria come associazione, secondo me, non va criminalizzata tutta e così i servizi segreti, nonchè gli imprenditori come associazione costruttori o i politici. Vanno colpiti ed allontanati i collusi e tutti coloro che hanno abusato delle leggi dello Stato, portandolo fino al collasso". Non poteri deviati quindi, secondo Lauro, ma singoli componenti deviati.


13.2 - Ed in una seconda fase cosa ci propone?

La seconda visione invece rappresenta una massoneria che si è integrata con il potere mafioso e assieme perseguono progetti politici eversivi. Nella prima parte del verbale del 30.3.94 ancora una massoneria che favorisce alcuni mafiosi attraverso aggiustamenti di processi e la tutela di interessi mafiosi ma sempre attraverso suoi autorevoli rappresentanti, prima Modafferi, Bevacqua, il preside Zaccone poi il notaio Marrapodi e l'ing. D'Agostino.

La “bomba” alla fine del verbale che chiude alle 18,30 viene riaperto per 15 minuti quanto basta per affermare che sono aderenti alla massoneria tutti i più importanti capi della 'ndrangheta reggina. E poi una sfilza di nomi.


13.3 - Quali sono le rivelazioni di Lauro più significative?

La prima rivelazione, come le dicevo, è che i vertici della NDR sono tutti aderenti alla Massoneria.; successivamente confeziona la super loggia massonica come momento culminante dei rapporti massoneria - eversione - mafia ovvero la super loggia massonica costituita da Franco Freda ed infine disvelerà i componenti la loggia del Gran Maestro Zaccone.


13.4 - Produce documenti dai quali risultano i nominativi dei componenti la loggia di cui era Gran Maestro il preside Zaccone?

Ma quali documenti. E’ una somministrazione graduale di nomi ed informazioni. Il primo elenco di nomi sui presunti aderenti alla loggia appaiono per la prima volta nel verbale del 24.9.92 ed a sollecitare il richiamo alla loggia Massonica nasce dalla necessità di dimostrare l'appartenenza ad essa di Modafferi Pasqualino, legato a gruppi mafiosi, per conto dei quali sollecita favori ai "fratelli". Pochi nomi e comunque significativi di quanto poco informato fosse della cosa: egli infatti indica De Carlo Felice titolare di una tabaccheria (si vedrà poi che il riferimento chiaramente voleva essere al cugino Gustavo De Carlo che lo utilizzerà in un altro verbale per accreditare un'altra fantasiosa versione) e poi il Vicedirettore del Banco di Napoli Taglieri e con la consolidata tecnica per la attendibilità del riferimento inserisce il particolare che è sposato con la vice del Preside Zaccone ovvero con la prof.ssa Santagati) nonchè tanti altri professionisti e fra questi anche magistrati. In queste sue prime propalazioni dichiara di NON ESSERE IN GRADO di indicare i loro nomi e ne fa riferimento alcuno all’agenda di cui dirà successivamente. 

Nel memoriale del 4 febbraio 1993 Lauro fa un fugace accenno alla massoneria parlando del Preside Zaccone e del suo fidato compare Pasqualino Modafferi, ambedue grandi massoni che venivano sollecitati da esponenti mafiosi in cerca di favori di natura giudiziaria. Naturalmente in quanto alle fonti di conoscenza dirà che "erano verità note negli ambienti ndranghetisti come fatti certi".

Successivamente nel verbale del 30.3.94 introdurrà il furto alla Cassa di Risparmio e dice di alcuni documenti prelevati dalle cassette senza parlare della fantomatica agenda appartenente al preside Zaccone. Dirà che i "documenti contenuti nelle cassette (furto Cassa di Risparmio) furono da noi tempestivamente distrutti immediatamente dopo il furto". Dobbiamo andare alle dichiarazioni del 23.2.95 per apprendere una nuova versione - Lauro non aveva distrutto tutti i documenti, aveva conservato un'agenda zeppa di nominativi, numeri di telefono e qualifiche di grado massone. L'agenda la conservò Lauro nell'abitazione di Brancaleone. Quando i De Stefano gli chiesero di avere quell'agenda Lauro si libera dell'agenda e la consegna al cugino Gustavo De Carlo che era in contrasto con il Preside Zaccone. L’agenda nonostante una tempestiva perquisizione, con sospensione dell’interrogatorio, in casa De Carlo non vi è traccia tra i tanti documenti massonici rinvenuti. Sollecitato a ricordare alcuni nomi scritti nell'agenda ne indica di getto 45. Ma la cosa curiosa è che indica ad esempio "tale Barbaro di Platì” inteso "U nigru"; il dottor Marino, proprietario della "Clinica del Sole" di Gallina; e cose simili: Vi è da chiedersi a distanza di diciotto anni Lauro come fa a sapere che quel Barbaro segnato sull'agenda era quello da lui conosciuto come soprannominato "u nigru". Oppure era indicato nell'agenda il soprannome? Ma non basta, a mente più fresca, la mattina successiva ricorda altri 16 nominativi contenuti nell'agenda, ed altri ancora ne indica il 3.3.1995, quando racconta dell'omicidio del giudice Ferlaino che venne ucciso perchè “si ruppero gli equilibri all'interno della massoneria ed in quanto ostacolava il nuovo progetto massonico-affaristico”.

Al di là della inattendibilità e della illogicità dei fatti raccontati che quand'anche veri non provano certamente la appartenenza delle persone citate ad una loggia massonica, ciò che mi preme evidenziare è che in questo filone non figura il mio nome ed ancora non c'è nel racconto del 3 marzo 1995 nell'elenco di "prescrizione" che a dire di Lauro avrebbe redatto Condello Pasquale per colpire bersagli avversari pericolosi per la loro contiguità con strutture deviate della massoneria e dei servizi segreti.


13.5 - Cosa dice Lauro in ordine ai rapporti tra massoneria e ‘ndrangheta? 

Lauro come si è già rilevato, nella seconda versione, introduce questo elemento nel verbale del 30 marzo 1993 ed afferma che i PIU' IMPORTANTI CAPI DELLA NDRANGHETA REGGINA sono stati aderenti alla massoneria: primo tra tutti don Antonio Macrì. Non indica la data della decisione dei vertici della ndrangheta di inserirsi nella massoneria può, atteso che Macrì è deceduto nel 1975, dirsi sicuramente avvenuta un paio di anni prima. Nel verbale del 10 ottobre 1994, sempre Lauro, sposta la data della decisione dei vertici di entrare in massoneria al termine della prima guerra di mafia. Non si precisa come e dove fu assunta a quell'epoca tale decisione. Fornisce un elenco di nomi anche questa volta tutti capi della ndrangheta. Il mio nome figura in tutte e due gli elenchi. 

Deve desumersi che la mia adesione alla massoneria avviene in ragione della mia qualifica di capo ndrangheta!!

Il 23 febbraio 1995 Lauro, a domanda del P.M. che gli chiede di riferire in che modo era venuto a conoscenza che i personaggi della ndrangheta reggina indicati nell'elenco del 30 marzo 1994 fanno parte della massoneria, risponde: "sono stati loro stessi a confidarmi aggiungendo che attraverso la massoneria ed i rapporti che la stessa garantiva, la ndrangheta reggina poteva godere di ampia libertà di movimento ed in particolare poteva beneficiare delle risorse provenienti da grandi appalti pubblici". Quindi sarei stato io a confessare a Lauro la mia qualifica di capo bastone e la conseguente adesione alla massoneria.


13.6 - Quando svelerà le sue conoscenze sulla costituzione della super loggia massonica?

La prima volta che Lauro riferisce della costituzione di una loggia segreta sorta con la venuta di Franco Freda a Reggio Calabria risale al 29 giugno 1994, nel corso del confronto con il notaio Marrapodi. 


13.7 - E cosa dirà nello specifico?

Possiamo leggere a pag. 17 della trascrizione del confronto sopracitato: "perchè è lui (l’avv. Giorgio De Stefano) insieme a Paolo Romeo che gestiscono il potere occulto e il potere criminoso nella città e nella provincia di Reggio Calabria" e poi, a pag. 124, "E quindi questa loggia segreta, supersegreta diciamo così, ancora prima della guerra di mafia non vi risulta che c'era per esempio Paolo Romeo, Salazar, Giorgio De Stefano, non vi risulta?” ed ancora a pag. 127 "Questa sede massonica segreta è nata quando Franco Freda da Catanzaro è stato portato a Reggio Calabria ed era a Reggio Calabria. NOTAIO MARRAPODI. Non lo so io questo - LAURO ... La loggia era a Reggio Calabria ed era una loggia segreta dove c'erano i servizi deviati, quei servizi che hanno favorito la fuga di Franco Freda e quindi l'accompagnamento su una macchina dei servizi di Franco Freda da Catanzaro a Reggio Calabria - ... LAURO. - La portarono appunto perchè trasportarono questo Franco Freda il quale diceva che il Ministero degli Interni lo aveva nella mani loro... Sto parlando di gente, mi seguite? che hanno portato Franco Freda qui, hanno creato questa loggia per fare e per creare un colpo di Stato o per fare altre cose.

Continuando a pag. 133 la chiave di lettura della faida improvvisata da Lauro: no, no, io non sono non ero uno di loro, quindi non posso ... Io dico quello che so per avere avuto questi riferimenti sul caso Franco Freda, perché quando Zamboni e Tonino Saccà - zio di Mario e di Giuseppe Vernaci, il mio coimputato nel furto e detenuto come me - dopo il mio arresto a Roma, sono scesi per fare il colloquio con Pippo. Pippo mi disse.


13.8 - E dopo questa data quando ne ha mai parlato? 

Bisogna andare nel verbale del 10 ottobre 1994 per avere altre notizie sulla loggia massonica super segreta di cui facevano parte appartenenti alla ndrangheta, come Paolo de Stefano, l'avv. Giorgio De Stefano, il defunto Pasqualino Modafferi, Antonio Nirta, esponenti dell'eversione come Paolo Romeo, Benito Sembianza, Giovanni Criseo, l'ing. D'Agostino ed altri professionisti ed esponenti delle istituzioni. Fondatori ed organizzatori furono Franco Freda e Paolo Romeo. Dopo la partenza di Franco Freda la loggia passò sotto il controllo di Paolo Romeo. In questa circostanza viene anche precisato che un'altra loggia analoga era stata costituita nello stesso periodo a Catania. La prima volta indica lo scopo della costituzione nel fatto che si doveva creare un colpo di stato nella seconda occasione in cui ne parla probabilmente la loggia di Reggio e Catania probabilmente era più al servizio del progetto separatista sul quale, nello stesso periodo, indaga la Procura di Palermo.


14 - La massoneria vista da Barreca


14.1 - Quale è invece il contributo offerto da Barreca ed in quale periodo? 

Il Barreca si sofferma sull'argomento massoneria nel corso di dieci verbali: Giordano 22.12.92, Giordano 20.01.93, Giordano 22.01.93, Macrì 05.05.93, Macrì 18.05.93, Macrì 08.11.94, Boemi 25.01.95, Boemi - Verzera 24.01.95, Verzera 28.01.95, Foti 04.05.95.


14.2 - Quale è l’idea che Barreca ha della massoneria?

Barreca ha una concezione della massoneria e dei servizi segreti ben diversa da quella di Lauro e comunque ambedue pur partendo da posizione diverse convergono, sul finire del 1994, riconoscendo la esistenza di un processo di integrazione dei diversi gruppi di potere politico mafioso massonico per scopi politici - affaristici - eversivi. Ma seguiamo l'evoluzione delle sue dichiarazioni per comprendere anche attraverso le sue gratuite, infondate false affermazioni quale è l'idea che vuole offrirci.

Nel verbale del 22 dicembre 1992 mentre riferisce dell'omicidio Ligato dirà, della vittima, che rappresentava l'anello di congiunzione tra il potere politico massonico - mafioso e che il riferimento alla massoneria scaturiva dalla considerazione che era notorio l'inserimento del Ligato in logge massoniche, così come lo era per gli avvocati Giovanni e Marco Palamara, per l'Avv. Romeo Paolo e l'Avv. Giorgio De Stefano. La mia appartenenza alla massoneria fa parte del "notorio". Non ha fonti da cui far discendere tale sua conoscenza.

Nel verbale del 21 gennaio 1993 attribuisce a Don Stilo l'appartenenza alla massoneria o meglio, come chiarirà nel verbale del giorno 8 agosto 1993, alla loggia di Roccella Jonica insieme ad altri professionisti della fascia ionica.


14.3 - Quando ed a chi fornirà altre elaborazioni sul punto?

Il giorno 05 maggio 1993 interrogato dal Dott. Macrì dirà "sapevo da varie fonti che l'avv. Romeo è massone" e più avanti - mi risulta che a Reggio Calabria esiste più di una loggia massonica coperta di cui fanno parte professionisti reggini a tutti i livelli e di cui mi riservo di fare i nomi di persone che ne potrebbero far parte. Ne potrebbero fare parte anche rappresentanti di alto livello delle istituzioni e della politica. Anche questa volta imprecisate sono le fonti di acquisizione della notizia e non si fa riferimento ad strutturazione dei rapporti che vengono collocati nell’ambito di uno scambio di favori.

E' sempre il Dott. Macrì che interroga Barreca il 18 maggio 1993, che presenta, questa volta, uno schema ed un organigramma che chiarisce come e con chi si realizza lo scambio di favori tra massoneria e ndrangheta. La provincia è divisa in tre aree: Reggio e zone limitrofe, ionica e tirrenica. Ciascuna ha i suoi emissari, regolarmente aderenti alla massoneria che mantengono i rapporti tra le due organizzazioni. Sulla Ionica Don Stilo e Nirta Antonio, sulla Tirrenica Giuseppe Bellocco, su Reggio L'Avv. De Stefano e l'Avv. Romeo. Un passo avanti è stato compiuto. Non più rapporti occasionali ed episodici tra referenti occasionali, ma canali permanenti che assicurano rapporti più organici ed efficienti.

Le fonti di informazione inesistenti. I fatti riferiti non sono datati.


14.4 - Barreca viene interrogato dal dr Cordova titolare dell’inchiesta sulla massoneria avviata dalla procura di Palmi?

Naturalmente non poteva non offrire il suo contributo di conoscenza sulla materia nella maxi indagine della Procura di Palmi e Barreca il giorno 8 luglio 1993 viene sentito dal Dott. Cordova e dalla Dott.ssa Omboni. Nell'occasione viene riproposta l'appartenenza di Don Stilo alla loggia di Roccella Jonica, affermato il rapporto massoneria servizi segreti nella gestione dei sequestri di persona, nella fuga di Franco Freda, l'appartenenza di Ligato, De Stefano, Palamara e Romeo nella stessa loggia ed il collegamento di alcuni magistrati alla massoneria attraverso propri familiari. Il concetto del ruolo di cellule massoniche deviate che mediano, in combutta con i servizi segreti, vicende relative alla liberazione degli ostaggi nei sequestri di persona viene riproposta il 05.08.93.


14.5 - Quando parlerà della super loggia massonica costituita da Franco Freda?

Bisogna aspettare oltre 15 mesi da questo ultimo interrogatorio del giorno 8 luglio 1993 perché il Dr. Macrì senta Barreca, sul tema. Il magistrato dopo aver incassato la versione del 10 ottobre 1994 da Lauro, con la quale si fa confessare una circostanza tenuta segreta per oltre due anni, ovvero la costituzione di una loggia supersegreta da parte di Franco Freda, il giorno 8 novembre 1994 interroga Barreca il quale dirà: "Ho partecipato ad alcuni degli incontri avvenuti a casa mia tra Franco Freda, Paolo Romeo e Giorgio De Stefano (dal giorno 11.11.92 è trascorso tanto tempo che non ricorda che in quella data riferiva: "durante il periodo in cui Franco Freda fu nella mia abitazione venne a trovarlo l'Avv. Giorgio De Stefano e l'Avv. Paolo Romeo, e si trattennero con lui parlando di ARGOMENTI DI CUI NON SONO IN GRADO DI RIFERIRE). Tali discorsi riguardavano la costituzione di una loggia super segreta, nella quale dovevano confluire personaggi della ndrangheta e della destra eversiva e precisamente lo stesso Franco Freda, l'Avv. Paolo Romeo, l'Avv. Giorgio De Stefano, Paolo De Stefano, Peppe Piromalli, Antonio Nirta, Fefè Zerbi. Altra loggia delle stesse caratteristiche era stata costituita nello stesso periodo a Catania. La super loggia di cui ho parlato doveva avere sede a Reggio e veniva ad inserirsi in una loggia massonica ufficiale e precisamente quella di cui faceva parte il Preside Zaccone, personaggio notoriamente legato al gruppo De Stefano. Queste logge avevano come obiettivo un progetto eversivo di carattere nazionale che doveva essere la prosecuzione di quello iniziato negli anni 70 con "i moti di Reggio". Anche quello prendeva le mosse da Reggio e doveva investire tutto il territorio nazionale. In preda a delirio ed ormai prigioniero di un cumulo di fatti e circostanze completamente inventate, raggiunge il massimo dell'assurdo nelle dichiarazioni del 24.01.95. La superloggia di Franco Freda aveva legami strettissimi con la mafia di Palermo, aveva come scopo la eversione dell'ordine democratico, aveva emissari nella P2, aveva una consorella a Catania, e poi ad essa aderirono le più importanti personalità cittadine da parlamentari di tutti i colori, ministri, sottosegretari, colonnelli dei CC., professionisti, capi della ndrangheta, sacerdoti, magistrati. essa riusciva a conciliare gli scopi eversivi ed il controllo di tutte le attività economiche e delle istituzioni; curava l'aggiustamento di processi.


15 - L’incidenza politica di Franco Freda a Reggio


15.1 - La presenza di Franco Freda a Reggio Calabria ha avuto riflessi sulle attività e sui programmi delle organizzazioni eversive di destra?

E’ un interrogativo che avrebbero dovuto porre a sé stessi i sostenitori del patto eversione-ndrangheta-massoneria. Sarebbe stato interessante esaminare gli avvenimenti e le attività svolte dalle organizzazioni di destra per valutare se hanno avuto prima e dopo la presenza di Franco Freda a Reggio un sussulto, un’impennata, una virata un qualsiasi condizionamento. La verità è che la permanenza di Franco Freda a Reggio non ha avuto alcuna valenza politica o di altro genere ma soltanto quella di acquisire l’esito della sentenza di Catanzaro, che davano per scontato, per attendere all’estero i successivi gradi del processo. Franco Freda non è soggetto che interferisce sugli affari correnti dei vari sistemi di potere operanti in quel periodo a Reggio Calabria. Oltre a non avere nel suo modo di pensare e di essere l’inclinazione alla gestione del potere, tanto meno di quello operante a Reggio Calabria e dintorni, è certo che non poteva rientrare nei suoi progetti e nelle sue prospettive. Chi sostiene il contrario oltre a parlare di un Franco Freda immaginario deve, comunque, indicare fatti concreti riscontrabili. 


16 - I teoremi annunciati


16.1 - Perché sostiene che gli inquirenti vengono condizionati dai loro pregiudizi nel condurre gli interrogatori? 

Mi limito a riportare la sintesi di alcune dichiarazioni di tre tra i più influenti investigatori Macrì, Boemi e Pennisi che nel corso di convegni e/ interviste hanno reso sul tema.

Gazzetta del sud 14 luglio 1987 - Occhiello - Stretto legame, secondo il g.i. Macrì, con l’estrema destra. Titolo : NDRANCHETA LA MAFIA NERA - Enzo Macrì intervenendo in un seminario di studi ha affermato che esistono stretti legami tra mafia calabrese e movimenti eversivi di destra. Non a caso nell’ottobre 1969 mentre a Montalto era in corso un importante summit mafioso, a Reggio Cal una manifestazione guidata da JULIO Valerio Borghese impegna centinaia di uomini della celere, e durante i fatti di Reggio ci furono i primi episodi della strategia della tensione come le bombe sui treni.

Il 23 settembre 1992, il giornalista Michele Carlino di AVVENIMENTI intervista il dr Vincenzo Macrì. Titolo dell’articolo: I mafiosi dei Boia chi Molla. Sottotitolo : E’ solo un caso che in molti misteri italiani, da Pecorelli al caso Moro, siano comparsi nomi di esponenti della ndrangheta calabrese? Vincenzo Macrì è uno dei giudici più minacciati d’Italia: Servizi segreti, politici collusi, e boss delle cosche: quale può essere stato il loro punto d’incontro?. Fra il ‘70 e il ‘72, ai tempi della rivolta di Reggio capoluogo, la ndrangheta cominciò a entrare nel grande traffico delle armi..”. “ Sul piano nazionale, la P2: ma la sua stessa funzione, qui nel sud, l’hanno svolta le organizzazioni mafiose”. “ Se Cordova diventerà superprocuratore antimafia..” E prosegue : “Ma la questione del rapporto tra mafia e politica segna la storia calabrese da almeno vent’anni. I segnali di questo intreccio si possono leggere sia attraverso i risultati elettorali, sia attraverso le scelte di politica amministrativa e di gestione del territorio, l’illegalità diffusa, lo stato disastroso dei servizi. ..l’operazione “mani pulite”può contribuire a fare luce sul rapporto mafia-politica in questa città. Mafia,ndrangheta,camorra e sacra corona fanno parte di un sistema integrato di mafie.. ..la pace è conseguenza di un accordo forte tra poteri criminali. Si possono dare due spiegazioni. La prima è che la pace sia stata imposta dall’esterno,da mafiosi venuti dagli Stati uniti, o da emissari di Cosa Nostra siciliana: La seconda è che l’accordo sia frutto della costituzione anche in provincia di Reggio di una sorta di cupola sovraordinata rispetto alle cosche, in grado di imporre la pace ai belligeranti e soprattutto di farla osservare. Si tratterebbe di un salto di qualità della ndrangheta, in vista di una sempre maggiore integrazione con le altre mafie operanti in Italia. .. il problema è chiarire eventuali rapporti tra settori dei Servizi segreti, altri poteri occulti e organizzazioni criminali. ... senza contare che nuove logge super coperte possono essere sorte, anche in Calabria, sulle ceneri della P2. .. anche se non mancano voci relative a coperture che passano attraverso della destra eversiva che negli anni ‘70 confluire direttamente o indirettamente nella ‘ndrangheta. Il punto di svolta è rappresentato dalla rivolta per Reggio capoluogo che incendiò la città tra il 1970 e il 1972; è certo che durante quegli anni si stabilirono rapporti non più interrotti tra destra eversiva, ndrangheta e Servizi segreti. Da tutto questo si ha l’impressione di un unico filo conduttore che percorre non solo le vicende della criminalità calabrese, ma anche delle istituzioni e persino della rappresentanza politica. E’ come se esistesse un sistema integrato di poteri, attraverso il quale si è realizzato il dominio sulla società calabrese. Se, insomma, la P2- e anche una organizzazione come Gladio - è il risultato di decisioni prese oltreoceano in funzione destabilizzante della società e della politica italiana fino a ricorrere alle stragi e al terrore eversivo, una funzione sostanzialmente analoga potrebbero avere rivestito nel mezzogiorno le organizzazioni mafiose, nella logica di un patto scellerato che ha garantito impunità e ingenti profitti finanziari a quel blocco di potere che ha fin qui condizionato le vicende del nostro paese.


Ed ancora il giorno 8 dicembre 1992 A. Purgatori sul Corriere della Sera intervista sempre Vincenzo Macrì. Occhiello: Dalla rivolta del “Boia chi molla” al coinvolgimento di politici nel delitto Ligato: sugli intrighi calabresi parla il giudice Vincenzo Macrì. Titolo: COSI’ REGGIO E’ DIVENTATA L’INFERNO. Sottotitolo : Per anni la mafia ha assolto il compito affidatole dall’alleanza tra servizi segreti e la massoneria. Quasi tremila morti nella guerra interna alle cosche,un’intera classe dirigente travolta dagli scandali. E poi 

"...finché arrivò il 21 luglio del 1970 e il sindaco Pietro Battaglia annunciò alla gente che il capoluogo era perduto. Quel giorno le barricate invasero Reggio. Fu l’inizio della rivolta e di molte altre cose. Grande banco di prova per la destra neofascista e le trame dell’eversione, con Ciccio Franco capopolo, la rivolta ufficialmente non subì contaminazioni mafiose. Eppure, dietro i lacrimogeni, dietro le cariche si avvertiva l’ombra di un alleanza. Un’ombra che veniva da lontano. “ Da quel giorno di ottobre del 1969 in cui il principe Junio Valerio Borghese s’era presentato a Reggio per un comizio e i suoi fidi avevano fatto la prova generale scatenando l’inferno, picchiando la gente, provocando scontri con la polizia. E solo 24 ore prima il questore Santillo aveva ordinato un blitz a Montalto, dove era in corso un summit di mafiosi con la partecipazione di padrini politici.Si parlò di auto ministeriali, di pezzi grossi.Molti riuscirono a fuggire. E intanto con la rivolta si era verificata la prima pesante infiltrazione dei servizi che puntavano ad un accordo con la mafia per garantire la gestibilità politica d’una città esplosiva. Non a caso i duri dei Boia chi molla presero a quel tempo la via della ndrangheta.Con un piede da una parte e uno dall’altra. La ndrangheta alle elezioni non accetterà più mediazioni: manderà direttamente i propri uomini in comune, gente insospettabile. Niente più compromessi con politici incapaci. E la massoneria che cosa c’entra? Macrì annuisce “ C’entra, eccome. Vede, io ho una teoria. Che per tutti questi anni il regime abbia proceduto e gestito inseguendo un equilibrio tra governabilità da una parte e l’anticomunismo dall’altra. Su, al Nord, c’erano le Gladio o come vuole chiamarle a garantire controllo e pure stragismo. Qui, nel sud, la Gladio, si chiama mafia. E ha assolto perfettamente allo stesso compito affidatole dall’alleanza tra servizi e massoneria. Bisognerebbe avere il coraggio di andare a fondo su questa faccenda. E forse l’inchiesta della procura di Palmi riuscirà a fornire nuovi elementi di conoscenza”.

Sino a questo momento Lauro, Barreca, Albanese, Gullà sono ancora delinquenti in carriera non avevano deciso di fare il grande salto e collaborare con la giustizia. Leggevano come ognuno di noi i giornali. Il dr Macrì non aveva ancora ruoli investigativi. 

Eppure alcune testate giornalistiche ed alcuni loro giornalisti appartenenti a correnti di pensiero anti regime sono al servizio di una strategia di scardinamento del blocco di potere e della classe dirigente del mezzogiorno attraverso la via giudiziaria. Poi il 21 marzo 1993 il dr Macrì nominato componente della DNA viene applicato alla DDA di Reggio Calabria e avvia gli interrogatori dei collaboratori. Poi continua a rilasciare interviste su questi temi e cominciano le pubblicazioni di libri su questi argomenti. Oltre la cupola, massoneria, mafia e politica è uno dei tanti libri che si occupano sugli intrecci politico-massoni-mafiosi. Distribuito nei primi mesi del 1994 edito da Rizzoli scritto dall'ex Presidente della Commissione parlamentare antimafia Francesco Forgione e da Paolo Mondani, con prefazione del Giurista Stefano Rodotà e postfazione del Magistrato Agostino Cordova. Contemporaneamente vengono sentiti i collaboratori che aggiungono sempre più interessanti particolari sull’argomento. Così andrà avanti per anni. Così si interferisce nei meccanismi giudiziari preposti all’accertamento di fatti e responsabilità ottenendo facili conferme a teoremi e altrettanti facili eliminazione di personale politico. Ventuno parlamentari calabresi verranno incriminati, suscitando grande clamore, per odiosi reati da questo trituratore giudiziario-mediatico salvo ad essere, la quasi totalità di loro, nell’indifferenza generale assolti.


16.2 - Ma le pubbliche dichiarazioni dei magistrati proseguono anche quando esercitano il ruolo investigativo?

Le offro un altro modesto saggio di ciò che avveniva (raffronto dichiarazioni inquirente e collaboratore.

CORRIERE DELLA SERA 25/6/1993 P. Graldi

Preoccupato allarme del s.n.a. Macrì sulle armi giunte dall’ex Jugoslavia e Germania est.

I lanciamissili della ndrangheta separatista

Preparano attentati per dividere l’Italia. E’ un mondo lontanissimo dalla lega ma gli obiettivi si somigliano. Bene, io sostengo che anche la mafia, nel passato in varie forme, ma soprattutto oggi, coltiva aspirazioni separatiste, insomma vedrebbe di buon occhio uno stato federalista. E in effetti da una composizione del genere potrebbe ottenere diversi vantaggi. 

Non considero una sciocchezza sostenere che i due mondi, lontanissimi, di lega e mafia potrebbero vedere, ciascuno per proprio conto, una utilità nel realizzarsi di un progetto separatista.

Se la mafia fa attentati al centro ed al Nord, creando un clima di terrore nelle grandi città, i progetti di alcune forze politiche potrebbero sintetizzarsi in una proposta del genere: la Mafia dilaga anche a casa nostra, non solo in Calabria, Campania e Sicilia. Noi vogliamo porre delle barriere a questa pericolosa infezione. Stacchiamoci prima che sia troppo tardi. (Lei pensa che un ragionamento del genere, per quanto aberrante possa apparire, non troverebbe gente disposta a sostenerlo?) Ecco: proprio qui vedo il pericolo di una strategia delle stragi.

Negli anni passati, al vertice di alcuni uffici giudiziari, sono accaduti, ripetutamente, fatti per lo meno strani. Adesso abbiamo qualcuno che ce li racconta dall’interno. Si, temo che anche dei giudici saranno investiti dal ciclone. Parecchi di più di quanti non lo siano stati.


TELEREGGIO 20/09/1993

L’ipotesi di una pluralità di centrali criminali alcune delle quali riconducibili alle tradizionali mafie, altre a poteri occulti e centrali eversive che in questa fase di transizione sociale e politica stanno cercando di trovare una loro collocazione.

.....Rende più pericolosa la situazione nel nostro paese perché si realizza una saldatura tra disegni politici di segni opposti.... e gli interessi del grande capitale mafioso. Da più parti e da più tempo abbiamo visto una normale introduzione di armi pesanti sul territorio nazionale che fanno riferimento a progetti separatistici già coltivati in passato, progetti che in questo momento ricevono nuova linfa dall’emergere di ideologie separatiste, crisi economica e sociale, razzismi emergenti, lacerazioni tra nord e sud.

Tali progetti sono sicuramenti interessanti per le organizzazioni criminali che pensano di poter controllare e condizionare assai di più governi federali del mezzogiorno d’Italia attraverso il peso del potere economico e attraverso... personale politico riciclato. Ho l’impressione che ancora la pericolosità di questo progetto non sia stata recepita in pieno e che il controllo alla criminalità organizzata si riduca alla repressione del solo apparato militare senza colpire quei collegamenti dei poteri occulti giudiziari e spezzoni delle istituzioni. Collegamenti che costituiscono ancora oggi lo zoccolo duro della criminalità organizzata.


IL GIORNO 5/10/1993 ENZO JACOPINO

Intervista a Enzo Macrì

Anche la Calabria ha toghe corrotte alla Curto. E’ così la gente nutre scarsa fiducia nella giustizia.

..Ma il controllo è capillare e i rapporti che la ndrangheta ha sono i più diversi. Sappiamo che ne esistono con la massoneria. Certo , i capi mafiosi non appaiono negli elenchi ufficiali, ma fanno parte di strutture coperte. 

( Chi c’è, in esse, assieme a loro?) Ci sono magistrati, funzionari di polizia ufficiali dei carabinieri.

Criminalità, massoneria ed eversione di destra hanno un progetto separatista.

La mafia ha deciso di ripiegare nel castello del mezzogiorno. E trova nelle ipotesi di stato federale portato avanti dalla lega, un progetto di sua soddisfazione. La frantumazione del paese significa lasciare il mezzogiorno in mano alla criminalità organizzata.


GAZZETTA DEL SUD 16/10/1993

Parla il sostituto nazionale antimafia dr. Macrì

La ndrangheta e l’eversione nera

Si può affermare che buona parte della ndrangheta reggina ha una matrice nera ed eversiva e che non ha mai perso questa caratteristica. Le prove di questi rapporti sono molteplici. Tra le più clamorose quelle collegate alla latitanza di Franco Freda a Reggio sotto la protezione della ndrangheta, al passaggio di alcuni boia chi molla nelle fila della criminalità organizzata nonché nei collegamenti emersi nel corso delle indagini sull’uccisione del giudice Occorsio. Altri più importanti ed inquietanti collegamenti sono attualmente oggetto di delicate indagine su cui non è possibile riferire alcunché. Secondo Macrì punto di raccordo tra ndrangheta e destra eversiva è stata tra l’altro la banda della Magliana, mentre un ruolo altrettanto importante ancora non del tutto esplorato è costituito dalle coperture assicurate all’uno ed all’altro da servizi ed ambienti massonici deviati.


MESSAGGERO 21.10.1993 G. Manfredi

Il magistrato della p.n.a. denuncia stretti legami con i poteri occulti e l’eversione.


Macrì: è la ndrangheta il nemico n. uno del paese

Dai legami con la massoneria, i servizi deviati ed il terrorismo di destra all’inquietante presenza di esponenti dei clan negli atti del processo Moro.

Le ultime operazioni investigative giudiziarie compiute a Milano confermano che le cosche della ndrangheta hanno una solida ragnatela estesa su vaste aree del centro nord, contano su appoggi e complicità influenti di poteri occulti e apparati dello stato, dominano grandi traffici internazionali di armi e droga e, soprattutto, hanno svolto a quanto pare, permanentemente un ruolo attivo nelle vicende più oscure dell’eversione.

C’è uno zoccolo duro che è individuato ed ha enormi capacità di resistenza, è quello dei legami sotterranei che i vertici delle cosche hanno intessuto, grazie anche all’ospitalità di determinate logge massoniche, con pezzi di potere cosiddetto legale. Solo la perdita di questi punti di forza istituzionali e politici potrà ridurre la ndrangheta a fenomeno puramente criminale e quindi più vulnerabile ma per far ciò occorre svelare complicità e segreti finora inespugnati.

Anche i pentiti più credibili, del resto, quelli più ascoltati quando si limitano a indirizzare la repressione dei livelli mafioso-criminali, i livelli cioè più facilmente sostituibili, vengono messi in discussione quando si spingono su questo terreno e si grida ai complotti.

(riscrivere la storia dìItalia) Certo ancora non è quantificabile l’apporto delle cosche alle campagne terroristiche stragiste passate e presenti. Ma non c’è dubbio che i rapporti fra la ndrangheta e i servizi deviati e quindi un comune coinvolgimento in episodi eversivi che emergono dall’inchiesta milanese, richiamano una lunga lista di precedenti specifici.

Non sono pochi gli atti giudiziari che hanno accertato interconnessioni fra le cosche calabresi e la destra eversiva, basti pensare ai boia chi molla di Reggio all’appoggio fornito per la latitanza e la fuga di Franco Freda in Costa Rica, fino ai legami cementati dalla cosiddetta banda della Magliana. E non mancano i riferimenti a legami con l’eversione di sinistra: ricordo solo l’ospitalità accordata nella locride al terrorista latitante Walter Pianelli, esponente di prima linea, ma basterebbe rilevare quanto ricorrano, fin dallo stesso 16 marzo 1978 i nomi di esponenti e clan della ndrangheta negli atti del processo per la strage di via Fani e il rapimento Moro. Perciò mi pare corretto che la storia nazionale possa essere anche riscritta se c’è da assegnare un ruolo alle grandi organizzazioni criminali, nel senso di un loro concorso, attraverso delitti e strategie, al condizionamento degli esiti della lotta politica e della vita stessa della democrazia.


IL MESSAGGERO 15/11/1993 G. Manfredi

Dai pentiti delle cosche rivelazioni su una saldatura tra criminalità organizzata e nuove, oscure, forze.

Mafia, ndrangheta e camorra vogliono la secessione del sud.

Barreca e Lauro, pentiti calabresi denunciano un progetto dietro a sequestri ed attentati e chiamano a conferma l’ex picciotto messina. Soffiando sul fuoco della divaricazione con il nord, le cosche vogliono la nascita di un nuovo regno delle due sicilie, naturalmente sotto il loro controllo.

La scoperta di numerosi arsenali in Calabria ed in altre zone - aggiunge il magistrato - e l’importazione di materiale bellico pesante, mi sembra di questo senso motivo di grande allarme: si tratta infatti di materiale assai costoso, che supera le esigenze ordinarie di armamento delle cosche e che dunque non può che essere destinato a finalità ancora oscure, potenzialmente eversive, antistituzionali, e sicuramente di estrema pericolosità.

Di sogni secessionistici accarezzati sull’altra riva dello stretto dai boss di cosa nostra, aveva del resto riferito con estrema lucidità il pentito siciliano Messina. Ascoltato dalla commissione parlamentare antimafia il 4.12. scorso, aveva affermato testualmente: cosa nostra sta rinnovando il sogno di diventare indipendente, di diventare padrona di un’ala dell’Italia, uno stato loro, nostro. E’ al presidente Violante che gli chiedeva se l’obiettivo fosse una secessione in piena regola, Messina rispondeva: sì e in tutto questo cosa nostra non è sola ma è aiutata dalla massoneria.


GAZZETTA DEL SUD 7/12/1993 P. Pollichieni

A Reggio c’è stato un avvelenamento di mafia

Analizzando la storia criminale della ndrangheta, Macrì ha evidenziato come questa non è improvvisamente diventata quello che oggi tutti riconoscono, essa è sempre stata un fenomeno criminale violento,capace di robusti agganci con il gruppo politico-economico dominante, protagonista sullo scacchiere del crimine internazionale. Solo che fino a ieri era circondata da quello che, giornalisticamente, potrebbe essere definito un rigoroso riserbo alimentato, e non colposamente, dalle omissioni,dalle connivenze e dalle collusioni di molti importanti settori della politica e delle istituzioni.

PENNISI

Febbraio 1995 relatore ad un seminario dei Lions di Catania : “la ‘ndrangheta non ha bisogno di interlocutori politici perché la ‘ndrangheta a Reggio è anche politica, e non ha bisogno di intermediari imprenditori perché l’imprenditore a Reggio è ‘ndrangheta” … “A Reggio tutto è ‘ndrangheta” …


BOEMI

“Ma è accaduto che l’inchiesta ha preso una piega inquietante che ci ha consentito di scoprire altre cose: che la ‘ndrangheta è stata, e forse lo è ancora, l’ala militare e sanguinaria di una organizzazione criminale molto più complessa, molto più articolata e molto più pericolosa che fa capo alla massoneria deviata.” … “ l'inserimento nella massoneria (della ‘ndrangheta ) è stato definitivo, fondamentale: perché si è data così la possibilità ai criminali di sedere allo stesso tavolo con politici, imprenditori, uomini delle istituzioni, alcuni avvocati. .. “E’ questo il “pluralismo associativo … abbiamo provato in modo indiscutibile che la città di Reggio non è stata dominata dalla 'ndrangheta almeno negli ultimi dieci anni…” … “ quello che abbiamo scoperto, infatti, ci sembra persino riduttivo di fronte a quello che c’è ancora da scoprire”.


17 - La massoneria attraverso i processi


17.1 - Quali sbocchi investigativi e quale sentenze si sono registrate in quel periodo sul tema della massoneria?

La prima indagine sulla massoneria deviata parte dalla Procura di Palmi dove Procuratore della Repubblica è Agostino Cordova. “ Una raffica di sequestri e perquisizioni in tutt' Italia contro la nuova P2. Da Roma a Milano, a Firenze (dove sono stati acquisiti gli elenchi di seimila massoni), a Perugia, a Bordighera. Per ordine del Procuratore di Palmi, Agostino Cordova, gli uomini del Ros dei Carabinieri hanno messo al setaccio sedi di logge più o meno occulte e case private in svariate regioni. Cordova coordina dalla capitale dove, aiutato dai sostituti Francesco Neri e Antonio D' Amato, continua a esaminare gli elenchi che erano custoditi nel computer del Grande Oriente d' Italia a Villa Medici del Vascello. Sembra che alcuni nomi degli indagati di oggi fossero gia' nelle liste di Licio Gelli.” Così il Corriere della Sera del 4 Novembre 1992. L’inchiesta finisce in un nulla di fatto. La stagione dei collaboratori di giustizia dà impulso a nuove indagini sul tema e il 16 luglio 2015 scatta l’operazione contro il giudice Foti Giacomo. Il 17 luglio scrive il Corriere della Sera “  Il giudice dei processi Ligato e Scopelliti e' finito in cella … Nella stessa operazione, eseguita dagli uomini della Dia, sono stati arrestati l' imprenditore Antonio D' Agostino e Raffaele Barcella, ex direttore del carcere Gazzi di Messina e San Pietro di Reggio Calabria … Il notaio calabrese Pietro Marrapodi ha deciso di parlare. La sua confessione si e' trasformata in un fiume in piena che ha travolto proprio alcuni magistrati reggini … Ieri la prima svolta nell' inchiesta, ma nel registro degli indagati sono iscritti altri quattro alti magistrati calabresi: il procuratore capo di Reggio Giuliano Gaeta; il procuratore generale Guido Neri, Giovanni Montera, avvocato generale dello Stato, e il presidente della sezione del tribunale Pasquale Ippolito.

Ed ancora, il 18 luglio “Il Manifesto” scriverà : “ Servizi Segreti, massoneria, pezzi delle istituzioni, eversione nera, ‘ndrangheta. E’ come se fossimo giunti ad un punto di arrivo, oggi. L’arresto del dott. Foti e dell’imprenditore D’Agostino legato ai servizi segreti, potrebbe essere il preludio di una imminente conclusione della famosa inchiesta soprannominata dei “cinquecento”.

I primi tre verranno scarcerati dal Tribunale della Libertà e poi assolti; la posizione degli altri quattro magistrati indagati finirà con una archiviazione. Nel processo Olimpia il capo di imputazione H5 vede imputati l’ing. Antonio D’Agostino, il dr Mario Viola, il dr Giuseppe Poeta ed il notaio Pietro Marrapodi perché ritenuti responsabili di avere costituito una loggia massonica. Tutti prosciolti all’udienza preliminare. Nell’inchiesta “Olimpia” centinaia sono le persone indicate, dai collaboratori di giustizia, come appartenenti alla massoneria deviata. Nessuno di loro ha il privilegio di un capo di imputazione per questi fatti.


17.2 - Eppure nella richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti, inoltrata alla Camera dei Deputati il 21 giugno 1993, il richiedente dr Macrì affermava: “Ancora più inquietante appaiono però i riferimenti relativi all’appartenenza di Romeo Paolo a poteri occulti (massoneria, servizi segreti, struttura Gladio) che spiegherebbero, secondo i collaboratori, il suo eccezionale potere politico-mafioso, i collegamenti con strutture criminali di altre aree geografiche e in particolare con la Sicilia, i progetti politici sottostanti.” 

L’inquirente infatti parla di “riferimenti” e specifica che offre le ragioni degli approfondimenti sulla circostanza sostenendo che ove non si provasse l’appartenenza di Romeo ai poteri occulti non sarebbe possibile giustificare il suo eccezionale potere politico-criminale che è propedeutico, indispensabile per sorreggere e dare credibilità a tutti gli altri addebiti che mi vengono mossi in tema di favori giudiziari, trattative di pace, separatismo, appoggi elettorali, fuga di Franco Freda e così via. Ebbene l’ipotesi investigativa nasce proprio da questa esigenza. Pur tuttavia in quella fase delle indagini le dichiarazioni dei collaboratori non sono state ritenute sufficienti a supportare un quadro indiziario grave sì da richiedere l’autorizzazione all’arresto alla Camera dei deputati contestualmente alla richiesta di autorizzazione a procedere. Il magistrato, infatti, sosteneva : “E’ necessario tuttavia un rigoroso approfondimento di tutti i temi di indagine in precedenza specificati .... al fine di poter approfondire e completare le indagini preliminari in corso e potere conseguentemente assumere le successive determinazioni in merito all’esercizio dell’azione penale”.


17.3 - Vi sono state indagini sul tema, acquisizione di documenti o testimonianze acquisite nella fase dibattimentale circa la sua appartenenza a tali poteri occulti.

E’ stato acquisito al fascicolo del dibattimento l’elenco dei reggini iscritti alla massoneria nelle diverse logge , documento prodotto dalla stessa accusa nel processo denominato Olimpia 3, dal quale non risulta la mia iscrizione.

Inoltre le testimonianze degli inquirenti Colonnello Pellegrini, del capitano di Fazio, del maresciallo Caracciolo Antonio sono molte chiare e perentorie

Col. Angiolo Pellegrini Ud. 27.05.96 - p. 30 AVVOCATO - Colonnello lei ha riferito poc'anzi delle difficoltà oggettive che avete trovato nel corso delle indagini allorquando avete cercato di conoscere i nominativi degli aderenti alle logge massoniche segrete, però negli atti ufficiali che certamente avrete compulsato, nell'ambito delle indagini che sono state svolte per acquisire elementi utili a conoscere di (incomprensibile), complicità fra una parte di (incomprensibile) della massoneria e aree criminali, è mai emerso il nome dell'Avvocato Romeo? - TESTIMONE - Non mi risulta. - TESTIMONE - In particolare è mai emerso nell'ambito dell'indagine che a suo tempo fu svolta dalla procura della Repubblica di Palmi? - TESTIMONE - Io non ho contezza completa, mi pare di no perché (incomprensibile). - TESTIMONE - Le risultano su una base le indagini da lei effettuate, rapporti qualsivoglia (incomprensibile) fra l'Avvocato Romeo e il Preside Zaccone? - …TESTIMONE - Di quell'azienda, no, non mi risulta. - 


Capitano Carmelino Di Fazio Udienza del 03/06/1996 pag.16

PUBBLICO MINISTERO: 

Sono emersi rapporti tra Romeo e la Massoneria?

TESTIMONE: 

Io mi occupo dell'inchiesta sulla Massoneria, e per quello che ho avuto modo di vedere fino alla data odierna, mi riferisco soprattutto alle logge calabresi del Grande Oriente d'Italia, non mi risulta che Paolo Romeo sia massone.


Maresciallo Antonio Caracciolo Udienza del 12/01/1999 pag.6 

AVVOCATO:

E a vasto raggio ... sono mai emersi rapporti tra l’Avvocato Romeo e il Notaio Marrapodi o tra l’Avvocato Romeo ed altri massoni man mano che avete fatto le indagini? - CARACCIOLO ANTONIO:

Guardi, io non ho mai rilevato questo, perché se questo ci fosse stato l’avrei scritto nella mia informativa, l’avrei indicato.. come ho indicato tutti, in tutti i rapporti non è emerso mai. Basta dare lettura a queste indagini ne’ nella prima fase, ne’ nella seconda cioè nell’ ultimazione dello sbobbinamento etc. dei nastri, va bene, che io seguivo, poi, giornalmente…

AVVOCATO:

Quindi... 

CARACCIOLO ANTONIO:

No, non esiste il nome di questa persona.


17.4 - Ma lei è stato condannato?

Non bisogna dimenticare che la riformulazione del capo di imputazione operata all’udienza del 31 maggio 2000 ha di fatto sancito la mancanza di elementi sufficienti a sostenere l’accusa della appartenenza di Romeo ai poteri occulti. Infatti la enucleazione degli episodi contenuti nel nuovo capo di imputazione attraverso i quali si tenterebbe di provare l'esistenza del vincolo associativo non fa riferimento alcuno all’appartenenza dell’imputato a taluno di tali poteri. Ciò perché in modo evidente le affermazioni dei collaboratori sul tema oltre ad essere intrinsecamente inattendibili quando addirittura inutilizzabili, non hanno alcun elemento di riscontro esterno anzi sono contraddetti da infiniti elementi documentali e testimoniali e da ferree argomentazioni logiche.


18 - La superloggia


18.1 - E sulla costituzione della super loggia massonica costituita nel 1979 da Lei e da Franco Freda?

Nessuna attività di indagine è stata svolta. La DDA non ha indagato neanche le persone indicate come appartenenti a tale struttura, non ha ritenuto nemmeno di dover interrogare le persone indicate quali appartenenti alla stessa superloggia. Addirittura nel caso dell’on. Riccardo Misasi, anch’egli indicato quale appartenente alla superloggia, indagato nel procedimento Olimpia per il reato associativo, nel provvedimento di richiesta di archiviazione, che reca data successiva alle dichiarazioni dei collaboratori, non viene fatto alcun riferimento a tale circostanza. Certamente non mi si può addebitare un fatto che in altri casi, dallo stesso inquirente, è stato ritenuto infondato.


18.2 - E gli altri presunti appartenenti alla superloggia sono stati indagati e come hanno reagito?

Sul piano mediatico la pubblicazione delle dichiarazioni dei collaboratori ha scatenato una serie di proteste e reazioni con puntuali dichiarazioni a mezzo stampa. Qualcuno ha proposto formale denuncia per calunnia. Sul piano processuale nel corso del dibattimento sono stati escussi sulla circostanza il Prof. Vincenzo Panuccio, l’on. Francesco Quattrone, il dr. Domenico Salazar, l’ing. Domenico D’Agostino, il comm. Amedeo Matacena senior, Franco Freda , Zerbi Felice i quali hanno tutti decisamente smentito.


18.3 - Barreca e Lauro dimostrano di saperne molto sulla superloggia al punto che oltre ad indicarne gli oltre cento appartenenti reggini sostengono che la stessa fosse collegata con altre logge coperte di Catania e Palermo? 

I particolari sono parti essenziali del copione pensato e scritto per ipotizzare un progetto molto ampio che includeva la divisione dell’Italia in tre attraverso l'unione della massoneria e di tutte le mafie del mezzogiorno. Basta rileggere il macrì-pensiero sul tema per rendersi conto che le dichiarazioni rese da Barreca e Lauro talvolta utilizzano le medesime espressioni e le stesso lessico per raccontare le suggestive ipotesi prospettate ai giornali ed in convegni dal giudice Macrì. E’ sempre il dr Macrì che nel dicembre 1992 viene chiamato a far parte della DNA. Saranno queste stesse ipotesi investigative a costituire la chiave di lettura dell’escalation degli eventi criminosi di quegli anni. 


19 - I sistemi criminali ed il separatismo


19.1 - E’ sempre la Procura di Reggio Calabria?

Vi è un momento sul finire del 1993 che qualcuno ritiene di potere leggere all’interno di un’unica strategia alcuni eventi che scuotono l’Italia (omicidi eccellenti, stragi, attentati), che rievocano lo stesso clima dello stragismo terroristico degli anni settanta e sollecita un’indagine che sarà coordinata dalla DNA. Il 4 marzo 1994 la DIA di Palermo avvia l’apertura di un procedimento penale con un’informativa che ipotizza una stretta connessione tra le stragi mafiose di Capaci e via d'Amelio, con gli attentati di Firenze, Roma e Milano per la realizzazione di un unico disegno criminoso che ha visto interagire la criminalità organizzata di tipo mafioso, in particolare “Cosa Nuova” siciliana, con altri gruppi criminali provenienti dalle fila della massoneria “deviata” e dell'eversione nera. La DNA, di cui era componente il dr Macrì, ne assume il coordinamento. Veniva rassegnato alle Procure competenti il quadro globale delle risultanze convergenti verso tale ipotesi ricostruttiva del contesto in cui poteva essere maturata la strategia stragista. E’ anche in questa ottica che avranno luogo gli interrogatori di Lauro e Barreca e qualche altro collaboratore. Le virate e le impennate dei contributi dei collaboratori successivi al marzo 1994 e relativi alla massoneria ed alla eversione nera nascono dall'esigenza di trovare elementi a supporto di quella ipotesi investigativa. Le dichiarazioni di Barreca e Lauro vengono trasmesse alla Procura di Palermo e finisco indagato in quel processo assieme a Licio Gelli, Stefano Menicacci, Stefano delle Ghiaie, Rosario Cattafi, Filippo Battaglia, Salvatore Riina, Giuseppe Graviano, Filippo Graviano, Benedetto Santapaola, Aldo Ercolano, Galea Eugenio, Giovanni Di Stefano, Giuseppe Mandalari.


19.2 - Quali reati e quali fatti venivano contestati?

A tutti gli indagati veniva contestato il reato di cui all’art. 270 bis comma 1 e 2 c.p, , (associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico) mentre a Gelli, Menicacci, Delle Ghiaiae, Cattafi, Battaglia, Di Stefano e Romeo viene contestato anche il reato di cui agli artt. 110 e 416 bis comma 1,4 e 6 (concorso esterno in associazione mafiosa) per avere partecipato alla progettazione ed esecuzione di un programma di eversione dell’ordine costituzionale da attuare anche mediante il compimento di atti di violenza, allo scopo tra l’altro – di determinare, mediante le predette attività, le condizioni per la secessione politica della Sicilia e di altre regioni meridionali dal resto d’Italia, così perseguendo il fine di determinare il rafforzamento ed il definitivo consolidamento del potere criminale di Cosa Nostra e di altre associazioni di tipo mafioso ad essa collegate sui territori delle regioni meridionali del paese.


19.3 - Quindi Lei era l’unico esponente calabrese che partecipava al progetto e a che titolo?

In effetti si. Interpretando i capi di imputazione sembrerebbe che la mia posizione sia di concorrente esterno all’associazione mafiosa e quindi apparterrei alla componente dell’eversione nera e della massoneria “deviata”. Da ciò si desume che, allo stato delle indagini, non vi fosse la partecipazione della ndrangheta al progetto eversivo non essendovi alcun suo rappresentante indagato. .


20 - Gladio


20.1 - Lei sostiene di non essere massone né di avere avuto interlocuzioni con l’ambiente o di avere mai condiviso progetti con la cosiddetta massoneria deviata. Ma i collaboratori inoltre le attribuiscono relazioni con i servizi segreti e l’appartenenza alla struttura Gladio.

La mia appartenenza ai poteri occulti (massoneria, servizi segreti, struttura Gladio) assieme alla falsa etichetta di estremista di destra (Avanguardia Nazionale e/o Ordine Nuovo) sono necessarie per sorreggere e spiegare, secondo i collaboratori, il mio eccezionale potere politico-mafioso, i collegamenti con strutture criminali di altre aree geografiche e in particolare con la Sicilia, i progetti politici eversivi sottostanti. 


21 - Romeo ed i servizi segreti


21.1 Perché Lauro e Barreca pensano che lei sia collegato ai servizi segreti?

Anche su questa vicenda Lauro e Barreca hanno modo di riferire fatti diversi nel tempo. Mi spiego. Le propalazioni e le dichiarazioni che Lauro dà all’inizio della sua collaborazione che va dal luglio del 1992 al marzo-aprile del 1993 sono di un certo tenore e riferiscono alcune cose anche in ordine a questa mia presunta appartenenza ai servizi segreti. Dal maggio del 1993 Lauro e Barreca anche sul punto, invece, modificano le loro precedenti dichiarazioni, alzano il livello e il tono delle loro accuse e addirittura si fanno coraggio e mi attribuiscono ruoli e posizioni di alto profilo. La genesi di questo filone di propalazioni va ricercata nell’interrogatorio di Lauro del novembre 1992 condotto dal dr Bruno Giordano. Ad un certo punto Lauro dichiara che l’avv. De Stefano ha rapporti con i servizi segreti. Lauro incalzato dal dr Giordano, a riferire fatti e circostanze a sostegno dell’affermazione, preso alla sprovvista, dice, in sostanza,- “Be’, voi mi chiedete di offrirvi una prova della vicinanza dell’avvocato De Stefano ai servizi segreti? Vi dico subito: l’avvocato Giorgio De Stefano, nel 1979, ebbe affidato Franco Freda dai servizi segreti che lo avevano accompagnato con una macchina”. Sostanzialmente Lauro nel novembre del 1992 ritiene di avere elementi per sospettare la mia appartenenza ai servizi segreti a cagione del fatto che attribuiva la fuga di Franco Freda da Catanzaro ai servizi segreti. Su questa matrice costruirà tutto il resto.

Il collaboratore Barreca nella sua immaginazione ritiene che i servizi segreti nel 1970 siano stati in contatto con me per questioni che attengono alla rivolta di Reggio e addirittura egli afferma, in un verbale del maggio del 1993, e quindi, come ricordavo all’inizio, nella seconda fase quando, cioè, i due vengono interrogati dal dottor Macrì e svelano per la prima volta anche queste vicende della rivolta di Reggio e di presunti rapporti miei e dell’avvocato Giorgio De Stefano con i servizi segreti durante la rivolta di Reggio. Spudorate menzogne che non tengono conto della completa estraneità dell’avv. De Stefano alla rivolta di Reggio ed al ruolo marginale da me ricoperto e limitato alla partecipazione a qualche manifestazione organizzata dal MSI. Ove fosse necessario smentire la circostanza soccorrono gli accertamenti svolti dal dr Macrì che l’11.11.1993 chiederà informazioni ai direttori del Sisde e del Sisme di Roma per conoscere se Romeo Paolo, De Stefano Giorgio, Stilo Giovanni, Lupis Giuseppe e Saccà Antonino, a vario titolo avessero avuto rapporti di collaborazione di qualsiasi tipo e natura. Non tarda a giungere la risposta che esclude categoricamente l’ipotesi. Inoltre in fase dibattimentale testimoni che vanno dal direttore del SISME nei primi anni 90 dr Domenico Salazar, al colonnello Pellegrini, al capitano Di Fazio e tantissimi altri escludono la conoscenza di fatti e circostanze che possano fare giustificare un tale sospetto.


22 - Il MSI e le organizzazioni extraparlamentari


22.1 - Vuole indicarci quali erano le differenze di natura culturale, strategica ed operativa tra le organizzazioni del MSI e della destra extraparlamentare?

Il contenuto dell’opuscolo “La lotta politica di Avanguardia Nazionale”, sequestrato ed acquisito nel proc. 9147/75 RG Tribunale di Roma contro Agnellini ci aiuta a caratterizzare la posizione dell’associazione. La dichiarazione in essa contenuta è inequivoca: “Noi siamo rivoluzionari.” Subito dopo precisano il programma: “Distruggere ciò che non è degno di sopravvivere impedendo l’avvento di una nuova illusione e trasformare ciò che si può; questa è una rivoluzione.” Indicano la visione strategica: “La rivoluzione è un tentativo per sfuggire all’affossamento in un’esistenza senza armonia e senza speranza, con la ferma volontà di costruire un futuro teso ad un Ordine Superiore del vivere. La rivoluzione nazionale accetta il rischio di un disordine provvisorio con l’intenzione di fondare un reale Ordine Naturale”. Non credono nello stato democratico: “La democrazia è la sopraffazione fondata sul doppio alibi del diritto e dell’uguaglianza. Vi è l’impossibilità democratica al buon governo.” Si pongono fuori dagli schemi dei partiti: “Destra e sinistra significano volontà di riforma e non di rivoluzione, spostamento di equilibri e non ribaltamento di strutture.” Declinano la loro idea di Stato: “Noi contrapponiamo uno Stato ad un “non Stato”. Non esiste, infatti, uno Stato democratico: esiste un sistema democratico che può essere liberale, comunista, tecnocratico o neo capitalista, ma che rimane sistema incapace di realizzare i valori più autenticamente umani e sociali e, quindi, etici, che possono invece compiutamente esprimersi soltanto in una concezione gerarchica della vita strettamente connessa con un’articolazione selettiva della Società. Avanguardia Nazionale è sicuramente una formazione politica che si pone fuori dal sistema democratico che dichiara di volere abbattere per instaurare un Ordine Naturale. Appartengono alle forze extraparlamentari che scelgono di non partecipare a nessuna competizione elettorale. Non accettano il confronto ed il dialogo con le forze politiche del sistema democratico. Operano per distruggere ciò che non è degno di sopravvivere, agiscono per fare implodere il sistema. Avanguardia Nazionale nelle sue varie articolazioni assunte negli anni, Ordine Nuovo, Nar, Terza Posizione, e tanti altri gruppi nascono da scissioni del MSI ad iniziativa di gruppi che non condividono la posizione del MSI di esaltare la democrazia e la libertà come valori prioritari ed irrinunciabili ed anche il riconoscimento che i valori che hanno animato gran parte della Resistenza, erano valori di libertà. Il MSI negli anni 70 lancia gli slogan dell’”alternativa al sistema” e della Grande Destra per tentare di comporre tutte le anime del composito universo di destra. Un'alternativa al sistema operando dall’interno e nel rispetto delle sue regole. Si propone quindi come alternativa al regime. Sono gli anni dell'adesione alla destra nazionale dei monarchici del PDIUP, di parlamentari della DC, dell’ex filosofo marxista Armando Plebe, dell’ammiraglio Birindelli. Queste dinamiche politiche possono essere paragonabili a quelle che si registravano in quegli anni a sinistra ma hanno caratteristiche e logiche profondamente diverse dalle dialettiche delle forze politiche di centro e di governo che erano dinamiche di potere che trovavano schemi e regole di composizione dei contrasti interni attraverso le “correnti”. Il peggiore nemico della formazione extraparlamentare di destra o di sinistra è il partito dell’area di riferimento la cui classe dirigente viene vissuta come se avesse tradito un’idea, con disprezzo. Queste dinamiche relazionali producevano rigorose posizioni di grande antagonismo tra le organizzazioni, tra le posizioni e le singole azioni politiche. Talvolta ciò non impediva che i rapporti personali potessero ancora restare in vita.


23 - La militanza politica di Romeo


23.1 - Non ha fatto parte della struttura Gladio, non ha avuto rapporti con la massoneria ne tanto meno con i servizi segreti non mi dirà che non è stato un militante delle organizzazioni estremistiche di destra?

La prova più robusta e consistente che vi è negli atti del mio processo riguarda la mia ortodossa militanza nelle organizzazioni giovanili prima e nel MSI al cui interno ho assunto ruoli dirigenziali a livello nazionale. Non sono mai stato un semplice iscritto che si poteva eclissare e/o ammiccare l’occhio ad altre organizzazioni. Ho sempre avuto ruoli di responsabilità che richiedevano un senso di appartenenza marcata, palese, pubblica. Sono stato, ai vari livelli, sempre il rappresentante di precise linee politiche che sostenendo e praticando avrebbero dovuto produrre proseliti e consensi. Se eri il presidente della Giovane Italia o del Fronte della Gioventù o del Fuan o del MSI non potevi essere di Avanguardia Nazionale, del Fronte Nazionale o di Ordine Nuovo. Erano organizzazioni concorrenti gravitanti nell’area della destra, spesso prodotte da scissioni tra vari filoni di pensiero e per diverse visioni strategiche. Era perciò possibile che ex missini siano confluiti nel tempo nelle altre organizzazioni o che ci sia stata una circolazione di alcuni che usciti dal MSI per un certo periodo, poi, siano rientrati. Ma ciò era possibile soltanto ai semplici iscritti, i vertici delle organizzazioni se trasmigravano operavano, di solito, vere e proprie scissioni politiche che coinvolgono anche la base. Personalmente ho costruito il mio percorso politico nel periodo in cui ho militato a destra sempre nelle organizzazioni del MSI. Nel 1980, quando per dissidi interni di natura strategica, un gruppo di dirigenti presenti anche nelle istituzioni locali abbiamo lasciato il MSI, abbiamo sperimentato, restando tutti assieme, un nuovo modo di praticare l’impegno politico al servizio della comunità senza condizionamenti ideologici ma strenui portatori di sani valori e principi.


23.2 - Chi sostiene che lei è un estremista militante in Avanguardia Nazionale e/o di Ordine Nuovo?

Lauro nel corso delle indagini preliminari in ben tre verbali di interrogatorio – 17.05.93, 08.07.93 e 16.11.94 afferma che negli anni 70 militavo nella organizzazione extra parlamentare di Destra Avanguardia Nazionale. Successivamente nel corso della udienza dibattimentale del 12.07.96 in più occasione affermerà che non militavo in Avanguardia bensì in Ordine Nuovo. Lo stesso collaboratore Barreca pur affermando di non sapere bene la mia militanza politica ha affermato che ero compagno di partito di Zerbi e di Dominici. Ierardo all’udienza del 19.03.97 afferma che appartenevo alla stessa organizzazione politica di Franco Freda che non ricordava se era Avanguardia Nazionale o Ordine Nuovo. Gullà Giovanni invece mi ricorda quale presidente della Giovane Italia e delle organizzazioni giovanili del MSI. Il collaboratore Albanese Giuseppe afferma che appartenevo alle organizzazioni extra parlamentari ed avevo rapporti con Concutelli che ho incontrato anche a Reggio . Buon ultimo il collaboratore Izzo Angelo mi pone ai vertici della dirigenza di Avanguardia Nazionale ed anche del Fronte Nazionale. 


23.3 - E gli inquirenti che idea si sono fatta?

Gli inquirenti obbligati dalle ipotesi investigative che inseguono mi vogliono estremista a tutti i costi e possibilmente di Avanguardia Nazionale.


23.4 - Chi erano gli inquirenti delegati alle indagini sulle questioni riguardanti il progetto politico eversivo?

Il colonnello Pellegrini titolare dell’informativa che dà il via all’operazione Olimpia ed il capitano Carmelino Di Fazio.


23.5 - Mentre i magistrati che hanno diretto o condotto le indagini sul tema?

I firmatari dell’ordinanza di custodia cautelare sono Boemi, Pennisi, Verzera, Mollace e Macrì. Altri magistrati che hanno condotto indagini sul tema nel senso che hanno interrogato testi informati sui fatti o compulsato gli atti i più significativi sono il dr Guido Salvini, giudice istruttore del Tribunale di Milano nel procedimento Azzi Nico del 1984 e il sostituto procuratore della Repubblica di Palermo Antonio Ingroia.


23.6 - E tutti costoro raggiungono il convincimento che lei sia stata militante di Avanguardia Nazionale?

Si tutti, in verità ad eccezione del capitano di Fazio che solo nella fase dibattimentale, dopo una serie di nuovi elementi probatori, riconosce che non sono stato mai un militante di Avanguardia Nazionale.


23.7 - E come spiega, come ritiene che tanto si sia potuto verificare?

Va innanzitutto ammesso che attribuirmi il sostegno fornito a Franco Freda induce semplicisticamente a collocarmi nell’area dell’eversione di destra soprattutto se tale valutazione viene fatta a distanza di 15 anni. La stessa cosa non si è verificata subito dopo i fatti nonostante il clamore determinato dal mio arresto. Dopo qualche anno dall’episodio vengo rieletto consigliere comunale, sarò eletto assessore al comune di Reggio. Vengo, in sostanza, percepito dai miei concittadini come un uomo politico delle istituzioni, un moderato. Peraltro mi sarà accordata ampia fiducia nel ruolo e verrò premiato con larghi e costanti consensi elettorali che mi porteranno ad occupare gli scranni regionali e parlamentari ed a confrontarmi politicamente con le forze e gli uomini di governo. Nel 1992 la storia degli anni passati, in sede giudiziaria, viene riletta, anzi, ricostruita non attraverso i testimoni ed i protagonisti di quel tempo ma con le prezzolate memorie di alcuni collaboratori di giustizia che di mestiere, all’epoca, facevano i delinquenti.


23.8 - Vuole dire che il meccanismo giudiziario, con la nuova stagione dei collaboratori, produce distorsioni nell’accertamento della verità.?

Va precisato che non sempre la verità giudiziaria coincide con la verità storica dei fatti. La sentenza che accerta e spiega un fatto lo fa sulla base di una dialettica tra accusa e difesa e sulla base di ciò che viene posto alla base dell’accertamento il tutto nell’ottica di un preciso reato e di specifiche condotte compendiate nel capo d’imputazione. Il contesto, il clima, le mille forze che concorrono a determinare il fatto reato e che gli danno un senso non si traducono in atti processuali e spesso non concorrono a formare il giudizio penale. In sostanza gli strumenti del codice di procedura penale non sono idonei a produrre verità storiche ancor meno quando sono piegati alla logica della legislazione speciale.


23.9 - Ed è bastato questo dato a produrre falsi storici come l’abito di eversore che le è stato cucito addosso?

Certamente no. Ha giocato un ruolo importante anche una forma di pericolosa paranoia giudiziaria. Un’ostinata negazione dell’evidenza. La superficialità analitica di fatti politici complessi, le loro dinamiche, le loro logiche con il sottostante travaglio ideologico e strategico, esaminate con le stesse logiche interpretative dei fatti e dei rapporti criminali. Il dr Macrì sposa subito la mia collocazione nell’estrema destra sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori e costruisce su questa base la richiesta di autorizzazione a procedere. Il dr Verzera che sosterrà l’accusa nel dibattimento non ha dubbi Romeo è appartenuto alle frange eversive di destra operanti a Reggio Calabria. Il dr Boemi quando anche fuori dal processo si chiede: “Chi era Romeo? Giovanissimo. Era il giovanissimo esponente di Avanguardia Nazionale a Reggio Calabria negli anni ’70.”. Il giudice Salvini nei suoi atti, chiamato a ricostruire anche la fuga di Franco Freda, mi definisce militante di Avanguardia Nazionale, Ingroia recepisce gli atti trasmessi dalla DDA di Reggio. 

I titolari dell’inchiesta che mi riguarda hanno già in testa la loro verità. Hanno una loro chiave di lettura dei fatti snodatisi nella città di Reggio Calabria nel ventennio ’70-90. Hanno i loro convincimenti extraprocessuali: esiste in città un intreccio politico-mafioso-massonico-eversivo-istituzionale. Hanno dei teoremi da provare. Quando esercitano il ruolo di investigatore ricercano soltanto le prove a sostegno delle proprie ipotesi investigative.


23.10 - Perché attribuisce superficialità e metodi interpretativi inadeguati agli inquirenti?

Le porto subito un esempio. Nell’informativa della DIA che costituisce la base del processo Olimpia non viene affermata esplicitamente l’appartenenza di Romeo ad Avanguardia Nazionale. Viene compiuto un volgare tentativo di redimere con la tecnica del “dire e non dire”. Infatti a pag. 11 della citata informativa si afferma: “l’attività del gruppo avanguardista di Reggio Calabria, ed in particolare il collegamento con l’ambiente romano, era peraltro emerso con la partecipazione di Romeo Paolo, Pardo Aldo e Cristiano Pasquale, in data 16.03.1968, alla manifestazione organizzata dal MSI all’interno della città studi di Roma”.

Questa considerazione è grave, sintomatica di paranoia acuta, contraddittoria e indicativa di un’ignoranza ostinata dei dati e dei travagli politici di quegli anni. Come si può affermare che la partecipazione ad una manifestazione organizzata dal MSI a Roma ed alla quale partecipano le tre persone citate è indicativa dell’attività del gruppo avanguardista di Reggio Calabria, ed affermarsi inoltre, implicitamente, la appartenenza al gruppo di AN di Romeo. I tre e molti altri partecipano alla manifestazione del 16 marzo da militanti missini. Fu quella manifestazione a determinare un esodo di migliaia di militanti delle organizzazioni giovanili del MSI (Raggruppamento Giovanile, Giovane Italia e soprattutto FUAN). E’ nell’ambito di questo processo nazionale che molti giovani missini reggini vengono attratti dalle sirene rivoluzionarie delle costituende nuove organizzazioni extraparlamentari che risorgono e si rilanciano imponendosi a macchia di leopardo sul territorio nazionale. La rinascita, nel febbraio marzo del 1970, di Avanguardia Nazionale a Reggio Calabria registra numerosi adepti provenienti prevalentemente dalle file del MSI. Il responsabile regionale e locale è Felice Zerbi già responsabile del Fronte Nazionale che aveva già da tempo acquisito le adesioni di Aldo Pardo, Peppe Schirinzi, Benito Sembianza, Ciccio Politi, Pasquale Cristiano che si aggiungono a suoi vecchi Carmine Dominici, Pino Barletta. 


24 - Le prove sulla militanza disattese


24.1 - E nel corso del processo la difesa non ha prodotto documenti ed elementi probatori contrastanti la tesi dei collaboratori e dell’accusa?


24.2 - I giudici di merito cosa hanno statuito in proposito?

I giudici di merito anche loro, superficialmente, costruiscono la motivazione delle loro sentenze sull’ipotesi di un Romeo eversivo di destra. E’ spontaneo chiedersi come sia stato possibile che imponenti prove documentali e testimoniali possano essere state trascurate per dare prevalente rilevanza ai labili, interessati e confusi ricordi di collaboratori. Lo fanno perché prima stabiliscono se devono condannarmi o assolvermi, per ragioni che stanno fuori dal processo, come potrò dimostrare alla luce degli atti che ho avuto modo di acquisire da un secondo processo che viene avviato contro di me, e in un secondo momento stendono la motivazione della sentenza..

Veniamo all’esame di alcuni fatti verificatesi dal 1968 in avanti che vengono letti ed interpretati dalla procura come comprovanti l’esistenza di un patto tra la eversione di destra e la criminalità organizzata, di un comune progetto politico per la conquista del potere. Vorremmo che Lei ci raccontasse la sua partecipazione o i suoi ricordi su episodi che hanno lasciato il segno nella storia del paese. 


25 - I moti studenteschi del 1968


25.1 - Lei ha partecipato ai moti studenteschi del 1968?

Si. Il mio primo approccio con le manifestazioni nelle università avviene il 16 marzo 1968. All’epoca ricoprivo l’incarico di Segretario Provinciale Raggruppamento Giovanile del MSI, ero consigliere all’ORUM dell’Università di Messina eletto nelle liste FUAN, ed ero Componente Esecutivo Nazionale Raggruppamento Giovanile del MSI. Segretario Nazionale era Massimo Anderson, mentre Presidente Nazionale della Giovane Italia era Pietro Cerullo, Cesare Mantovani era presidente nazionale del Fuan e Alberto Rossi era il responsabile nazionale dei Volontari. Ricordo che ci sentivamo telefonicamente con Massimo Anderson che mi comunicava l'organizzazione di un raduno dei giovani missini all’Università di Roma, da giorni occupata dal movimento studentesco, per il giorno 16 marzo.


25.2 - Quali erano le ragioni per cui veniva decisa la manifestazione?

Era evidente che lo spirito dell’iniziativa era quello di contrastare le iniziative e le manifestazioni di protesta in corso che il MSI ed il Secolo d‘Italia che venivano attribuite “all’universo giovanile composto da cinesi e guevariani, da filosovietici e filo vaticani, dagli immancabili prezzolati transfughi rivoluzionari di comodo alla ricerca di qualsiasi inserimento, e da mille utili idioti, pseudo impegnati a destra, timorosi di perdere il treno e stanchi di portare il basco sbagliato” (Secolo d’Italia del 13 marzo 1968).


25.3 - Come vi organizzate per raggiungere Roma?

Avevo il compito di organizzare la partecipazione di un gruppo di giovani reggini alla manifestazione di Roma. Un primo gruppo, che doveva partecipare alla festa della matricola di Padova, era partito qualche giorno prima con un’autovettura sulla quale trovarono posto, sicuramente Gegi Barbera, Franco Borruto ed altri due di cui non ricordo i nomi. Avevamo appuntamento all’università la mattina del 16. Per il giorno 15 marzo affitto tre autovetture, due fiat 850 ed una Fiat 124, dalla società Maggiore, gli uffici avevano sede sul corso Garibaldi nei pressi di Piazza Duomo, e nel pomeriggio dello stesso giorno partiamo alla volta di Roma 13-14 persone. Il buon professore Nino Gangemi, tesoriere del MSI, ci aveva dato un contributo per le spese di viaggio. Tra i partecipanti al viaggio vi erano Aldo Pardo, Piero Marrapodi, Ciccio Ligato, Latella Giuseppe, Nando Porpiglia, Serranò Ugo, Schirinzi Giuseppe, Saraceno Carmelo ed altri.


25.4 - Quando arrivate a Roma? 

A causa di qualche guasto ad una fiat 850, giungiamo nei pressi dell’Università Sapienza verso le ore 9 del giorno dopo. Parcheggiamo le macchine e ci avviamo a piedi all’interno. I primi scontri si erano già verificati. “Vi era già stato l’assalto alla facoltà di lettere, piena in quel momento anche di giovanissimi studenti medi. Lo scontro è violentissimo, e all’inizio è favorevole agli assalitori.” A pag.130 del volume “La Fiamma e la celtica di Nicola Rao” si legge ancora: “Guidati da Anderson e da Almirante, i missini doc, che portavano bandiere tricolori legate a bastoni molto lunghi, ci attaccarono al grido di “Italia – Italia”. Per difendere gli studenti medi, noi di Primula, alcuni marxisti-leninisti e diversi anarchici costituimmo la prima fila che assorbì l’urto degli assalitori, ai quali si erano aggiunti anche quelli che avevano occupato Legge. Gli unici che restano neutrali furono quelli di Avanguardia Nazionale. Successivamente ci organizzammo e li respingiamo, inseguendo fino a Legge, dove trovarono rifugio.” Appena il nostro gruppo entra all’università si imbatte in Franco Borruto che, sgomento per quanto aveva visto, ci racconta che Gegi Barbera era rimasto ferito negli scontri e proprio in quel momento una macchina ci passa vicino ed a bordo, sul sedile posteriore, scorgemmo Barbera sanguinante che veniva accompagnato in ospedale.


25.5 - Cosa fate, come vi regolate in quei momenti?

Certamente non pensavamo di doverci trovare in una situazione del genere. La nostra idea era quella di partecipare ad un raduno, con qualche comizio, magari immaginando che potesse scappare la solita scaramuccia tra fascisti e comunisti. Con particolare, comprensibile tensione ci avviammo verso la facoltà di Legge passando accanto a gruppi di giovani che schierati come una falange, brandivano spranghe di ferro, e stavano preparando quello che sarà da lì a poco l’assedio della facoltà di Legge. Quando giunsi ai piedi della scalinata di Legge mi avvicinai ad Anderson per dirgli appunto che eravamo giunti da poco. Con Lui vi erano, Giorgio Almirante, Alberto Rossi, Giulio Caradonna, Pietro Cerullo e tanti altri camerati reduci dall’assalto a Lettere. Erano momenti di grande tensione. I gruppi avversari rumoreggiavano ed erano sempre più minacciosi. Una moltitudine di persone armati di oggetti contundenti di ogni genere si avvicinava a noi posti alla base della scalinata che porta alla facoltà di Legge. Vi era da scegliere tra il dileguarsi, confondendosi tra i tanti curiosi e neutrali, o se invece decidere di tuffarsi nella pugna facendo quadrato con gli altri. Io ed altri sei del gruppo reggino ci trovammo accanto ad Anderson e agli altri.


25.6 - Perché non vi rendete neutrali evitando di partecipare agli scontri?

In effetti, molti, con motivazioni diverse, stanno a guardare. Non vi è dubbio che giovani di destra in quel momento all’università ve ne era più di un migliaio. In pochi secondi devi decidere. Decidi sulla base di ciò che pensi di essere, dei valori che guidano il tuo impegno. Decido che è giusto stare accanto al camerata in pericolo; prevale l’idea del coraggio che scaccia la paura; la necessità di dare un senso ad una scelta già fatta.


25.7 - E cosa fate subito dopo?

Decidiamo di collocarci all’interno della facoltà erigendo una barricata all’ingresso per meglio fronteggiare l’assalto di un’orda sempre più folta di avversari. Ingaggiamo per ore un furioso scontro con quei giovani che tentavano di sfondare la barricata che veniva strenuamente difesa con i lunghi bastoni delle aste delle bandiere che venivano utilizzate per colpire quanti tentavano la scalata della barricata. eretta ammucchiando le cattedre, i banchi e gli armadi che trovammo. Poi vi era un furibondo lancio di oggetti contundenti che venivano lanciati da fuori verso dentro e viceversa. Dentro la facoltà ci eravamo ritrovati un centinaio circa di giovani provenienti da ogni parte d’Italia. Da Rieti con un gruppi di giovani in prima fila c’era Guglielmo Rositani reggino da qualche anno residente in quella città per ragioni di lavoro, da Napoli con un altro nutrito gruppo di universitari partenopei vi era un altro reggino, Nino Scambia iscritto in ingegneria all’università di Napoli. Quando mi muovevo per lanciare oggetti all’esterno tutto intorno ne vedevo volare di ogni tipo. Molti tra i presenti subiscono serie ferite, tra questi Nino Scambia che riporta una ferita all’arcata sopraccigliare sinistra da dove sprizzava sangue. Non vi era tempo né possibilità per soccorrerli né loro avvertivano dolore. Ad un certo punto, dopo qualche ora, restiamo al corto di materiale da lanciare all’esterno. Non ci resta che abbattere un lunga ed alta parete di cristallo ed utilizzare le sue piccole parti da lanciare come razzi verso la massa che calcava sempre più agguerrita la barricata. “La disperazione induce taluni a salire sulla terrazza e scaraventare da lì, banchi, sedie e cattedre sugli assalitori. Proprio in questa fase resta ferito alla schiena il leader del movimento, Oreste Scalzone.Nel pomeriggio la polizia riuscirà a riportare la calma, scortando i fascisti all’esterno e operando decine di arresti.” 

Quando la polizia irrompe all’interno della facoltà per noi fu una liberazione. Fummo sicuramente sottratti all’ira degli assalitori che ormai stavano per espugnare la nostra roccaforte. I poliziotti pure loro reduci dall’aggressione subita il giorno precedente a Valle Giulia non hanno risparmiato manganellate a quanti tentavano di dileguarsi. Poi ci hanno separato per gruppi in vari ambienti in attesa di tradursi ad un vicino posto di polizia dove venimmo identificati, quindi denunciati e rilasciati. Dopo qualche anno un provvedimento di clemenza cancellò le conseguenze penali di quella vicenda.


25.8 - La contestazione durò molto nelle università. Lei ha partecipato ad altre manifestazioni?

Si. La vicenda romana del 16 marzo creò una frattura tra il MSI ed i giovani militanti delle organizzazioni giovanili. Le due anime del fascismo, quella d’ordine e legalitaria e quella di lotta e rivoluzionaria si trovano in conflitto. All’università di Messina dove il Fuan contava una consistente presenza quei fermenti studenteschi, in assenza anche di un attivismo da parte di gruppi universitari di sinistra, vengono governati dal nostro gruppo dirigente. 

Promuoveremo iniziative dentro e fuori dell’università interpretiamo la rivolta non soltanto come rivolta generazionale, ma come rivolta contro il mondo moderno, come contestazione radicale del modello sociale ‘neocapitalistico’ e dell’equilibrio mondiale fondato sull’egemonia statunitense, condotta in forme di massa, ma culturalmente non ascrivibile alla tradizione comunista. Non siamo nel movimento studentesco che viene strumentalizzato dal Partito Comunista ma costruimmo il “Movimento Studentesco Europeo” e nel marzo del ’69 venne diffuso in tutte le Università italiane il “Manifesto degli Studenti Europei”. Occuperemo l’Università e le facoltà che erano ospitate nella sede centrale. Il rettorato, le facoltà di Legge, di economia e Commercio, di Chimica e Fisica, di ingegneria e di Lettere. Lunghe giornate per organizzare, assemblee, dibattiti e manifestazioni tentando di dare contenuti alla contestazione coniugandoli con i valori e la visione esistenziale della destra. All’epoca Umberto Pirilli era presidente del Fuan ed il gruppo all’Orum contava otto consiglieri, tra cui io, Giovanni Davoli, Luigino Montalbano, Pino Vita, La Torre .. , Pasquale , Peppino Cucinotta. 

Vengono tenute concitate assemblee ed in una di queste viene deciso l’occupazione del Rettorato. La decisione viene contestata dai gruppi dell'ultra sinistra che tentano una prova di forza e non riuscendo sono costretti a rifugiarsi nell’aula della Facoltà di Chimica, sotto la protezione della polizia. I gruppi di destra circondano l’edificio e tentano l’assalto provocando numerosi feriti fra gli occupanti.


26 - Il comizio di Borghese del 1969


26.1 - Lei ha partecipato all'organizzazione del comizio di Borghese a Reggio Calabria nel 1969?

Assolutamente no. Il comizio venne organizzato dal Fronte Nazionale, già costituito il 13 settembre 1968, che aveva come referente a Reggio Calabria Fefè Zerbi. Dagli atti processuali risulta che l’interlocutore delle autorità amministrative e di polizia locale preposte al rilascio dell’autorizzazione era Felice Zerbi a cui fu notificato il diniego di tenere il comizio in piazza del Popolo.


26.2 - Neanche ai disordini che seguirono al diniego?

No. Non avevo ragione alcuna di partecipare ad una manifestazione politica organizzata da associazione di destra concorrente e dissidente con quelle del MSI di cui io ero dirigente. Il successo ed il perseguimento degli obiettivi della manifestazione potenzialmente indeboliva la posizione politica che rappresentavo.


26.3 - L’accusa nel suo processo mette in stretta relazione il comizio del principe Julio Valerio Borghese del 25.10.1969 a Reggio Calabria in Piazza del Popolo, il tentato golpe del 07.12.1970, nonché i rapporti di tali eventi con il summit di Montalto ed una presunta simpatia di una consistente parte della ‘ndrangheta della provincia verso i movimenti eversivi per interessi di strategia criminale non meglio precisati. I collaboratori attribuiscono a Lei una fondamentale partecipazione a tali progetti politici eversivi ed il tentativo di integrare poteri eversivi e poteri criminali.

Intanto è oggettivamente insostenibile che possa ritenersi che l’organizzazione di un comizio nella città di Reggio sia finalizzato a distrarre o depotenziare l’impiego delle forze dell’ordine che dovevano essere destinate all’operazione Montalto. Bastano alcune semplici considerazioni per ricavare la banalità della tesi. Se organizzo un comizio per distrarre la Polizia rispetto alla riunione segreta devo mettere in conto che la Polizia sapesse della riunione di Montalto. Se lo faccio per tale scopo organizzò il comizio per lo stesso giorno. Un normale comizio non richiede un impiego notevole delle forze dell’ordine che invece viene dispiegato perché erano prevedibili disordini a cagione del diniego. Ergo l’autorità che nega la piazza doveva essere parte del disegno. Invero lo stesso Lauro nell’interrogatorio del 16.11.1994 non attribuisce un nesso tra il comizio di Borghese e la riunione di Montalto nonostante le reiterate sollecitazioni dell’inquirente a strappargli una tale interpretazione.

Poi, so bene che Lauro nell’interrogatorio reso il 17.05.93 al Dr. Macrì, mi attribuisce il ruolo di anfitrione nell’accreditare il Principe Borghese ai vertici della criminalità reggina per stipulare un patto eversivo. Riferisce una falsa circostanza risalente a 23 anni prima perché rappresenta un presupposto utile a sostegno delle sue successive dichiarazioni.

Siamo nell’estate del 1970, la stessa estate nella quale si registrano i primi disordini di piazza 14 luglio 1970, ed eccomi, sempre secondo i racconti di Lauro al dr Macrì, promuovere un incontro ad Archi tra Julio Valerio Borghese ed il gruppo De Stefano. Nell’occasione è Paolo De Stefano che chiama a raccolta i suoi uomini, tra questi anche il Lauro, per invitarli all’incontro con il principe nero. Lauro prosegue riferendo di questo mio affanno nello sponsorizzare il principe ed i suoi progetti interessando e presentandolo alle varie consorterie della provincia. 

In questo inedito racconto Lauro mi attribuisce chiaramente il ruolo di referente dell'organizzazione eversiva facente capo a Valerio Borghese ed anche una capacità di penetrazione tra i referenti delle diverse organizzazioni mafiose di quel periodo. Tutto ciò è frutto della fervida fantasia del collaboratore che vuole compiacere l’inquirente che non svolge alcuna riflessione critica sulle dichiarazioni né promuove alcuna seria, doverosa attività di riscontro.

Per conoscere i particolari ed i protagonisti della vicenda basta leggere il libro pubblicato a luglio 2012 “L’aquila e il condor” di Stefano delle Ghiaie da pagina 86 a pagina 89. Vengono con dovizia di particolari indicati i nomi degli organizzatori, i luoghi degli incontri, la preparazione della reazione al diniego e le convulse decisioni assunte in quel giorno. Peraltro nel corso della presentazione del libro a Reggio Calabria, il 15 ottobre 2012,Stefano delle Ghiaie rilascia un'intervista alla giornalista Alessia Candido nel cui testo può leggersi . “La ricostruzione di quel periodo a Reggio è stata fatta grazie alle inchieste giudiziarie, prima fra tutte Olimpia. Secondo le dichiarazioni di alcuni pentiti, c'erano rapporti organici fra la ndrangheta cittadina e Avanguardia..
Questa è un'altra menzogna che nasce con la rivolta di Reggio. Io di questo ho appreso dopo il mio ritorno e ho letto alcuni libri, alcuni articoli in cui sono stati presi dei soggetti strani, come un certo Lauro, che ha detto cose assurde anche a Brescia, dove io fu chiamato come testimone. Ha detto che la rivolta di Reggio è stata appoggiata dalla ndrangheta. Questo non è stato provato mai. Ma d'altra parte c'è anche un fatto logico: la ndrangheta non poteva opporsi alla lotta di Reggio perchè era una lotta di popolo, non era una rivolta di un settore politico, quindi se si fosse schierata contro la rivolta, contro il popolo,che aveva tutto l'interesse a controllare, sarebbe stato sciocco dal punto di vista tattico. Ci sono stati solo alcuni pentiti che hanno parlato dei contatti fra la ndrangheta e Avanguardia. Questo Lauro che non so chi sia..Credo che su questo sia stata fatta ormai chiarezza. Del resto, se ci fosse stato un minimo elemento di prova, lei pensa che non sarebbe stato divulgato in tutti i modi


26.4 - In realtà, Lauro non è l'unico collaboratore a parlare dei rapporti fra la ndrangheta e Avanguardia. Sempre nell'ambito dell'Inchiesta Olimpia si legge di un incontro fra Paolo Romeo, lei e don Paolo De Stefano.

Le dico subito che Paolo Romeo io non l'ho mai visto, mai conosciuto, non ha mai fatto parte di Avanguardia. Fra l'altro, il fratello che era del Msi, accoltella un elemento di Avanguardia Nazionale, quindi non c'erano nemmeno buoni rapporti. Io non so neanche fisicamente com'è. Questa è un'altra menzogna che viene raccontata. Che poi Romeo sia stato amico di altri, dopo, in seguito o di qualcuno che era stato di Avanguardia non lo so. Le posso assicurare che non è stato mai in rapporti politici con Avanguardia Nazionale. Né io l'ho mai conosciuto.


27 - I moti di Reggio


27.1 - Lei ha sostenuto la causa di Reggio Capoluogo?

Ho partecipato attivamente alle riunioni del Comitato di agitazione per gli interessi di Reggio, costituito nel 1969 e presieduto dall’avv. Francesco Gangemi, che tenevamo in un salone di casa sua. Ricordo di avere organizzato manifestazioni studentesche sia nel 1969, quando con alcuni goliardi paludati di mantelli e feluche tentammo di occupare Palazzo San Giorgio. Il proposito era pervenuto all’orecchio dell’Amministrazione Comunale e quanto, nelle prime ore del mattino, tentammo di entrare dal portone di via Miraglia trovammo l’ingresso presidiato dal corpo dei Vigili Urbani e fummo costretti a battere ritirata. Decidemmo su due piedi di tentare l’occupazione del dirimpettaio Palazzo della Provincia. L’operazione riuscì. Occupammo le stanze al primo piano ed i balconi dove esponiamo cartelloni per richiamare il potere politico a riconoscere alla città di Reggio ed alla sua provincia quanto gli era dovuto. Era presidente della Provincia il dr Giuseppe Macrì di Taurianova che quando gli fu comunicato telefonicamente l’accaduto andò su tutte le furie minacciando l’intervento di suoi amici per allontanarci. Aveva interpretato l’accaduto come una offesa alla sua persona. Fu necessario un colloquio telefonico dell’avv. Gangemi Francesco, suo amico e collaboratore, per convincerlo della valenza politica della iniziativa che comunque non avrebbe scalfito il suo prestigio. A gennaio del 1970 organizziamo uno sciopero generale degli studenti medi che registrerà una partecipazione massiccia. Un lungo corteo sfila sul corso Garibaldi con tantissimi striscioni e gridando slogan per rivendicare il diritto di Reggio ad essere capoluogo della regione. Giunti a piazza Italia con un megafono invitai il sindaco, Piero Battaglia, a scendere dal Palazzo e sfilare con gli studenti. Trovammo la sua adesione ed il corteo raggiunse Piazza Garibaldi dove, dopo un mio intervento segui quello del sindaco, il corteo si sciolse in modo ordinato.


27.2 - Lei ha fatto parte nel 1970 del Comitato d’azione per Reggio Capoluogo? 

Sicuramente no. L’unico ad affermarlo è Lauro al dr Macrì nel corso dell’interrogatorio verbalizzato il 16-11-94. Vengo indicato quale componente, nell’anno 1970, del comitato di azione assieme a Ciccio Franco, Renato Meduri, Calafiore Angelo, Sembianza Benito, Fefè Zerbi. Documenti e testimoni dicono tutto il contrario.


27.3 - Però ai moti della rivolta di Reggio ha partecipato?

Quando scoppiò la rivolta il 14 luglio 1970 io ero fuori Reggio per ragioni di studio e non vivevo la prima fase. Poi, rientrato in città, seguo l’indirizzo del partito che inizialmente prendeva le distanze dalla rivolta. Ero dirigente del MSI ed ero vicino alle posizioni dell’on. Nino Tripodi, all’epoca direttore del Secolo d’Italia, giornale che viene bruciato in piazza in segno di protesta per la posizione che aveva assunto sulla rivolta.

Successivamente il MSI cambia posizione nel rapporto con la protesta e si registrano posizioni politiche e manifestazioni sotto le insegne del MSI a sostegno della rivolta. Basta scorrere i quattro volumi di “Buio a Reggio” per rilevare che le mie iniziative consistono: il 21 settembre del 1970 presiedo una assemblea dei Raggruppamento giovanile del MSI e diramò un documento, il 3 settembre 1971 partecipò ad una manifestazione indetta dal MSI in occasione della venuta a Reggio del sen. Pisanò ed il 22 settembre 1971 assumo la iniziativa come responsabile del fronte della Gioventù di una raccolta di firme per lo scioglimento del Consiglio Provinciale e comunale. Nelle quasi 900 pagine di cronaca della rivolta viene raccontata anche la nascita, la composizione e le iniziative del Comitato d’Azione nelle quali io non figuro.


27.4 - Eppure i due collaboratori lo vorrebbero attivo protagonista di quelle giornate, fomentatore di disordini, animatore occulto di tutto ciò di cui non sono state accertate le responsabilità?

Vede il volume su richiamato Buio a Reggio, pubblicato nel 1972 da Luigi Malafarina, Franco Bruno e Santo Strati, ricostruisce i fatti quotidianamente accaduti in quei giorni, registra i commenti di oltre duecento giornalisti che hanno seguito e raccontato la rivolta, poi vi sono i rapporti e le informative delle forze dell’ordine che giorno dopo giorno verbalizzavano quanto accadeva individuando i partecipanti e denunciando all’autorità giudiziaria le condotte penalmente rilevanti, da questi dati emerge la mia assoluta assenza dai luoghi e dagli occasionali centri decisionali delle iniziative che hanno riscaldato la rivolta. Si raccontano incontri tra soggetti politici, comizi, organizzazione di manifestazioni, riunioni di ogni tipo, la cronistoria dei fatti di ogni giorno; le forze dell’ordine di ogni genere e grado indagano, redigono rapporti, informative, denunce; i magistrati celebreranno centinaia di processi ricostruendo in sede giudiziaria gli episodi di rilevanza penale. Migliaia di persone fotografano ed attestano un mio ruolo marginale nella rivolta attribuendomi iniziative e posizioni squisitamente politiche. Poi accade, 20 anni dopo, che due mercanti di menzogne, spudorati ladri di verità, mi vogliono componente del Comitato d’Azione, animatore di strategie eversive della rivolta e compositore di accordi con la criminalità organizzata in prosecuzione di precedenti intese e patti avviati qualche anno prima in occasione del summit di Montalto del 1969 e del tentativo del colpo di stato del dicembre 1970. Il mio impegno quotidiano di quegli anni, l’attivismo politico che mi vedeva protagonista di mille iniziative, per non dire di quello goliardico e di rappresentante nelle istituzioni universitarie, sono culturalmente diametralmente opposte ad una visione complottista, golpista ed eversiva che tutti i ladri di verità mi vogliono attribuire. Si tenga conto che il 18 novembre 1971 conseguo, nei previsti quattro anni di studi, la laurea in giurisprudenza.

28 - I tentativi di Colpo di Stato


29 - Il deragliamento del treno a Gioia Tauro


30 - Il distacco dal MSI e la vicenda Franco Freda


0.1 - Lei nel 1980 viene indagato per la fuga di Franco Freda?

Si vengo indagato per il reato di favoreggiamento personale in concorso con Vernaci Mario e con altre persone non identificate, per avere mantenuto contatti con il Franco Freda latitante , offrendogli appoggio, aiuto e in particolare cooperando per procurare al medesimo documenti e certificati occorrenti per la latitanza, attuata sotto il nome di Vernaci.

Per questo reato mi viene notificato l’11 gennaio 1980 un mandato di cattura dalla Procura di Catanzaro e solo il 17 aprile dello stesso anno la Corte di Appello di Catanzaro ordinerà la scarcerazione. Soltanto il 28 maggio 1990 la Corte di Assise di Roma dichiara estinto il reato perché prescritto.


30.2 - Come reagisce l’opinione pubblica alla notizia del suo coinvolgimento nella vicenda?

Ricordo che vi furono manifestazioni pubbliche e private di grande solidarietà. Tra l’altro fu affisso in città un manifesto sottoscritto da numerosi professionisti che mi esprimeva vicinanza e solidarietà.


30.3 - Dopo qualche mese dalla sua scarcerazione nel maggio 1980 si terranno le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale. Lei sarà ricandidato in quelle consultazioni?

Si vengo sollecitato dal partito a ricandidarmi. Aderisco all’invito e pur non impegnandosi nella campagna elettorale, risulta eletto consigliere comunale riportando ben 2.136 preferenze. L’ampio consenso ricevuto mi legittima a proseguire nell’impegno politico ed istituzionale. Il gruppo del MSI al comune risulterà composto da Ciccio Franco, Antonio Dieni, Renato Meduri, Domenico Aloi e da me.


30.4 - Nello stesso anno lei assieme ad altri dirigenti del MSI lasciate i gruppi consiliari e vi proclamate indipendenti subendo un provvedimento di decadenza dal partito. Al di là delle formali divergenze politiche e gestionali posti a base delle motivazioni ufficiali delle dimissioni quali sono i veri motivi della irreversibile rottura?

La questione che noi ponemmo in seno al partito circa l’incompatibilità a ricoprire il doppio incarico elettivo così come deliberato dal Comitato Centrale alla vigilia delle elezioni non rappresentava soltanto una questione di rispetto delle regole che andavano applicate al sen Franco, al consigliere regionale Meduri ed al consigliere provinciale Aloi che erano risultati anche consiglieri comunali, ma sottendevano anche, dal nostro punto di vista, una visione dell’impegno politico volto più a tutelare posizioni personali piuttosto che servire una battaglia ideale.


30.5 - La vicenda Franco Freda ha inciso nelle sue decisioni?

Non vi è dubbio alcuno che l’amara esperienza patita per una scelta scarsamente ponderata, che comunque si inscriveva all’interno di un sentimento di solidarietà politica, aveva accentuato una riflessione critica nei confronti di comportamenti incoerenti che mandavano in crisi un mondo ideale che ti eri costruito e nel quale avevi creduto. Sono certamente stati d’animo che incidono nelle scelte. La nostra scelta è stata in fondo una sofferta volontà di rompere e chiudere definitivamente con una esperienza vissuta intensamente per quasi venti anni. Ciò lo facevamo nella consapevolezza di rinunciare a gratificanti carriere politiche cui potevamo, non foss’altro che ragioni anagrafiche e per le posizioni acquisite, legittimamente aspirare. Inconsciamente, personalmente, forse inseguivo una punizione per le cose fatte. Ma era giunta anche la consapevole certezza che era finita la stagione delle battaglie per costruire un'alternativa al sistema lottando il regime che in fondo poi, nei fatti, si puntellò tendendo ad una progressiva integrazione per la conquista di spazi di potere. Un orientamento, una inclinazione che negli anni aveva prodotto scissioni con derive verso l’extraparlamentarismo o con l’abbandono di iscritti e dirigenti che hanno preferito defluire nel privato. 


Certamente. E’ stata prodotta una ricca documentazione dalla quale risulta la mia permanente attività politica quale dirigente delle organizzazioni giovanili del MSI (A). Lettere di nomina ai numerosi incarichi ricoperti, una ricca rassegna stampa riguardante le attività svolte come presidente della Giovane Italia, del Fronte della Gioventù, del Fuan e del MSI (B). Inoltre una ricca rassegna stampa dell’impegno goliardico che era chiaramente in contrasto con una militanza in organizzazioni estremiste (C). Una lunga serie di rapporti della Questura di Reggio Calabria che attestavano i miei ruoli politici in quegli anni (D). E’ stato anche acquisito l’elenco degli iscritti ad AN della provincia di Reggio Calabria e gli atti di alcuni processi riguardanti AN. E poi una lunga lista di testi : Zerbi Felice responsabile regionale di Avanguardia Nazionale e Carmine Dominici responsabile provinciale i quali chiaramente dichiarano che non sono stato mai iscritto o simpatizzante di AN, precisando la mia appartenenza al MSI. Il Capitano Carmelino di Fazio, il maresciallo dell’arma dei CC Francesco Spanò, il già questore e dirigente della DIGOS di Reggio Calabria Federico Strano, il maresciallo Caracciolo che hanno con certezza affermato la mia collocazione nel MSI escludendo qualsiasi mio rapporto con AN. Pierluigi Concutelli - Franco Freda, Paolo Signorelli, Enzo Maria Dantini con ruoli di dirigenti, in vari periodi di Ordine Nuovo, hanno escluso la mia partecipazione a quella organizzazione. I dirigenti del MSI di quegli anni Renato Meduri, Alessandro Scalfari, Carlo Colella, Oscar Ielacqua e William D’Alessandro che hanno dettagliatamente raccontato l’attività da me svolta nel MSI. E da ultimo vecchi commissari della Questura di Reggio Calabria che hanno firmato rapporti che provano il mio attivismo: Giovanni Panarello, Luigi Faldella, Luigi Miceli, Piero Viola, Mario Esposito e Giuseppe Zocca.

ALLEGATI


16/07/1965 - Nomina a Presidente Provinciale a Giovane Italia

19/07/1965 - Circolare a tutti i presidenti sezionali della Giovane Italia

24/07/1965 - Circolare a tutti i presidenti sezionali della Giovane Italia – Tesseramento

21/08/1965 - Corrispondenza con il Presidente Nazionale

03/09/1965 - Comunicazione a Presidente Nazionale – Sequestro volantini

06/09/1965 - Richiesta tessere

10/09/1965 - Risposta Presidente Nazionale su volantino sequestrato

14/09/1965 - Comunicazione Presidente Nazionale Giovane Italia

15/09/1965 - Nomina Presidente Sezionale Giovane Italia

15/09/1965 - Ratifica nomina Presidente Provinciale Giovane Italia

02/10/1965 - Comunicazione con Direzione Nazionale 

05/10/1965 - Comunicazione con Direzione Nazionale

29/11/1965 - Comunicazione con Direzione Nazionale

05/12/1965 - Comunicazione con On.le Giorgio Almirante

28/01/1966 - Comunicazione con On.le Nino Tripodi

07/12/1966 - Nomina Segretario Provinciale Giovanile del MSI

08/12/1966 - Fac-simile - Elezione ORUM Messina

09/12/1966 - Convocazione Congresso Provinciale MSI

27/07/1967 - Circolare a tutti i segretari giovani le M.S.I.

09/12/1967 - Fac-simile - Elezione ORUM Messina

27/07/1968 - Circolare per campeggio a San Lorenzo

14/08/1968 - Circolare Campeggio scuola

23/08/1968 - Circolare – ai Capi Giovanili

31/03/1969 - Circolare sulla IV Mostra D’Arte Figurativa giovanile

00/00/1970 - Fac-simile – Elezioni Consiglio Comunale

00/00/1970 - Fac.simile – Elezioni Consiglio Regionale

06/12/1970 - Circolare organizzativa


Anno 1965 1965 - Rassegna stampa.pdf


Anno 1996 1966 - Rassegna stampa e Documenti.pdf


Anno 1967 1967 - Rassegna stampa.pdf


Anno 1968 1968 - Rassegna stampa e Documenti.pdf


La sentenza n. 156/83 del 07/03/1983 il Tribunale di Reggio si pronunciava su fatti accaduti a Reggio Calabria dall’ottobre 1969 fino a maggio del 1973 che venivano addebitati agli imputati Baggetta Giuseppe + 34 ovvero ad Avanguardia Nazionale e dove sono acquisite le seguenti sentenze: