L'ODISSEA GIUDIZIARIA

1. Le trame di un'odissea giudiziaria.

C’era una volta, sul finire della prima Repubblica, in una provincia calabrese popolata da ascari, un giovane avvocato con la passione della politica. Era conosciuto per la sua antica ed attiva militanza politica nella destra parlamentare che aveva abbandonato, con un nutrito gruppo di dirigenti nei primi anni 80, per proseguire il suo impegno amministrativo tra le fila della socialdemocrazia reggina. 

Erano anni in cui la Democrazia Cristiana reggina era rappresentata in parlamento da due deputati ed un senatore ed alla regione Calabria da cinque consiglieri, il Partito Socialista esprimeva un deputato, un senatore e due consiglieri regionali ed anche il Partito Repubblicano aveva il suo parlamentare ed il suo consigliere regionale. Il Partito Social Democratico in quel periodo aveva come leader locale un consigliere regionale.

I governi locali, comunali e provinciali, erano diretta espressione delle dinamiche relazionali tra tutti questi onorevoli, organizzati in correnti all’interno di ciascun partito e trasversalmente dialoganti per la formazione di maggioranze amministrative. L’esercito dei circa venti consiglieri provinciali e degli oltre mille consiglieri comunali dei 97 comuni della provincia, espressi dalla maggioranza pentapartitica, erano rigorosamente schierati con una corrente politica. Ciascuno aveva il parlamentare e/o il consigliere regionale di riferimento che avevano contribuito a far eleggere o si impegnavano a farlo. Fatta salva qualche eccezione tutti assieme esprimevano un sistema di potere locale che in ambito regionale era subalterno a potentati catanzaresi e cosentini che esprimevano personaggi con forti ruoli politici e di governo nazionale.

L’odissea giudiziaria che avrà inizio agli inizi degli anni ’90 si incardina attorno a quanto accaduto nel 1978. 

A settembre di quell’anno Franco Freda da libero vigilato in Catanzaro, dove si celebrava il processo a suo carico che lo vedeva imputato per la strage di Piazza Fontana, viola l’obbligo di dimora eclissandosi. Per la vicenda verrà denunciato l’avvocato, missino e consigliere comunale di Reggio Calabria, per il reato di favoreggiamento personale. Subirà a gennaio 1980 un mandato di cattura che lo vedrà costretto a trascorrere cento giorni prima presso la Casa circondariale di Catanzaro e dopo sette giorni nella casa circondariale di Reggio Calabria.

A quell’epoca non era previsto dal c.p. il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso che verrà introdotto solo nel 1982. La vicenda, pur in presenza delle puntuali delazioni di tale Filippo Barreca che diventerà collaboratore di giustizia nel 1992, non registrerà il coinvolgimento di persone appartenenti all'organizzazione mafiosa, poiché era stata ricostruita e valutata come un fatto reato di natura esclusivamente politico. Il procedimento si concluderà nel 1990 con la dichiarazione della prescrizione.

Subito dopo tale episodio, nei primi anni ’80, l’avvocato, fuoriuscito dal MSI, svolgerà attività amministrativa nel comune di Reggio Calabria assumendo per quasi dieci anni il ruolo di assessore in tre diverse giunte guidate da tre diversi sindaci PSI e DC, darà il suo contributo elettorale alle elezioni politiche del 1987 candidandosi alla camera dei deputati nella lista del PSDI

Lui e il suo gruppo di ex missini erano una forza anomala politicamente, non sono mai stati parte integrante del sistema di potere, erano solo un innesto, con la sua caratteristica e la sua autonomia, un modesto corpo aggiunto con dimensione comunale. Il gruppo era fuori dalle logiche del sistema di potere. 

Poi il PSDI reggino perde il suo tradizionale leader locale, il consigliere regionale, che passa armi e bagagli, alla vigilia delle elezioni regionale del 1990, nel PSI dove sarà candidato e non eletto.

Accade così che il gruppo di ex missini prende la guida del partito a livello locale e alle elezioni regionali del 1990 elegge l’avvocato ex missino consigliere regionale (Paolo Romeo).

Il nuovo consiglio regionale è chiamato ad eleggere il Presidente e la giunta. Per la prima volta, dalla costituzione della Regione il PSDI viene escluso dalla maggioranza e passa all'opposizione in consiglio. E’ il prezzo che si paga per essere stati fuori dal sistema di potere. 

L'opposizione al governo regionale sarà dura ed intransigente al punto da creare imbarazzo alla tradizionale opposizione comunista.

Da questa collocazione politica, dopo circa diciotto mesi di attività regionale, l’avvocato ex missino si dimette irrevocabilmente da consigliere regionale, dove non aveva nemmeno maturato il diritto alla pensione, per una candidatura alla camera dei deputati sfidando il deputato uscente.

Il deputato uscente vincerà di larga misura la competizione. Dopo lo spoglio delle prime schede si ha la certezza della sconfitta. Alle prime ore del mattino verrà chiusa la segreteria politica dove confluivano i dati elettorali da tutta la Calabria prendendo atto del risultato. 

Soltanto il giorno dopo con l'assegnazione dei resti nazionali si ha la notizia della attribuzione al collegio calabrese del secondo seggio per avere conseguito, per pochi voti, un resto maggiore del collegio della Campania che da sempre esprimeva il deputato PSDI.

Subito dopo le elezioni politiche, molti industriali e politici furono arrestati con l'accusa di corruzione. Le indagini iniziarono a Milano, ma si propagarono velocemente in altre città. Scoppia “mani pulite” il nome giornalistico dato a quelle iniziative giudiziarie che porteranno alla fine della Prima Repubblica. Cambierà il sistema elettorale, finiranno di esistere i vecchi partiti e si rinnoverà la classe politica.

Anche a Reggio scoppiò il caso “Fioriere” che coinvolse quasi tutta la giunta guidata dal sindaco Licandro ed a seguire una serie di altri procedimenti che coinvolgeranno amministratori e quasi tutti i parlamentari reggini.

Nello stesso periodo verranno coinvolti anche, quali responsabili morali dell’omicidio dell’on. Ligato, parlamentari e consiglieri regionali, ed anche nel procedimento c.d. “Comitato di affari” per essere successivamente assolti.

Quando dopo alcuni mesi, nel novembre del 1992, si terranno le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Reggio Calabria, l’avvocato ex missino, eletto al parlamento nelle liste del PSDI, era l’unico parlamentare dei partiti di governo uscito indenne dalla tempesta giudiziaria.

Accadrà in quelle consultazioni comunali che il PSDI risulterà, quanto a voti conseguiti, il primo partito della sinistra in città, conseguendo sei consiglieri comunali.

Accadrà il 13 marzo del 1993 che, contrariamente a quanto auspicato dal PCI locale che lavorava per la formazione di una giunta a guida comunista, il PSDI darà invece il determinante appoggio esterno ad una giunta DC, PRI, PLI guidata dall’on. Giuseppe Reale.

Accadrà che il 15 marzo 1993 viene distaccato dalla DNA alla DDA di Reggio Calabria il dr. Vincenzo Macrì.

Accadrà che il 24 maggio 93 si procede all'iscrizione nel registro generale degli indagati dell’Avv. Romeo ad iniziativa del dr Vincenzo Macrì avviso che sarà notificato all’interessato il successivo 25 maggio a Roma in via Uffici del Vicario presso la sede del gruppo del PSDI.

Accadrà che il 22 giugno 93 sempre con la sola firma del dr Vincenzo Macrì viene inoltrata alla Camera dei deputati la richiesta di autorizzazione a procedere.

Accadrà che dopo alcuni mesi, il 19 novembre 1993 il sindaco Reale raggiunto da pressioni provenienti da ambienti della Chiesa degli Ottimati e da qualche avviso di garanzia si dimetterà spianando la strada all'elezione di un sindaco comunista.

L’avvocato, ex missino, continuerà a fare il deputato sino alle successive elezioni del 1994 quando si candiderà nel collegio Villa Bagnara Reggio per l’Unione socialisti calabresi concludendo così il suo impegno nelle istituzioni.

Riprenderà l’esercizio dell’attività professionale con studio in Reggio Calabria alla via Demetrio Tripepi.

La vicenda giudiziaria inciderà profondamente sul sistema relazionale sociale e familiare dell’avvocato.

Accadrà che il 27 giugno 1995 verrà emesso il provvedimento custodiale contro l’avvocato, ex parlamentare. Il 29 settembre 1995 il Tribunale della Libertà annullerà il provvedimento restrittivo che sarà impugnato dalla Procura di Reggio Calabria. Il 16 gennaio 1996 la Cassazione rigetterà il ricorso della Procura. Il procedimento custodiale conclamerà la inesistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Per conoscere il pensiero o meglio i teoremi dell’accanito investigatore dr Vincenzo Macrì è sufficiente rileggere alcune sue dichiarazioni pubbliche: 


Gazzetta del sud 14.7.1987

Stretto legame, secondo Macrì, con l’estrema destra.

NDRANGHETA LA MAFIA NERA

Enzo Macrì intervenendo in un seminario di studi ha affermato che esistono stretti legami tra mafia calabrese e movimenti eversivi di destra. Non a caso nell’ottobre 1969 mentre a Montalto era in corso un importante summit mafioso, a Reggio Cal una manifestazione guidata da JULIO Valerio Borghese impegnava centinaia di uomini della celere, e durante i fatti di Reggio ci furono i primi episodi della strategia della tensione come le bombe sui treni.


Il Messaggero 30.8.1989 (Gianfranco Manfredi)

L’analisi del capo dell’ufficio del Tribunale reggino Enzo Macrì.

E’ guerra totale che coinvolge affari e politica. Modello boliviano così il magistrato definisce la nuova fase dell’offensiva sanguinosa della ndrangheta.

Un delitto eccellente è lo sviluppo naturale dello scontro intestino alle cosche in corso negli ultimi anni. Dossier 441 a. questa guerra, cominciata come scontro intestino tra le cosche, ha finito con l’assumere connotati di una guerra totale, che coinvolge settori dell’economia e della politica. b. alcune ditte in odore di mafia in regime di monopolio, non può essere avvenuto a Reggio Calabria senza il consenso, più o meno coatto, delle forze politico amministrative locali.


Il Manifesto 2.9.1989 (Lidia Barone - dossier 441)

Nessuno è più intoccabile.

Intervista al giudice Enzo Macrì sull’omicidio Lodovico Ligato.

Il fatto che la mafia calabrese non sia organizzata con una cupola come quella siciliana, non vuol dire che non ci siano stati rapporti con il mondo politico. Ci sono e ci sono sempre stati, in modo non soltanto episodico.


Il Mattino 25.4.1990 (Antonio Prestifilippo)

Il delitto di Catanzaro. Ecco cosa sta dietro gli agguati delle amministrazioni calabresi. Significativi gli ultimi 4 omicidi. La speranza nel nuovo ruolo della Chiesa contro la criminalità. Ndrangheta, perché è guerra. Il giudice Macrì denuncia: le cosche tendono a esprimere un proprio personale politico.


La Repubblica 4.5.1990 (Giuseppe D’Avanzo)

Vincenzo Macrì, magistrato di Reggio Calabria, spiega perché la criminalità ha scatenato l’offensiva in campagna elettorale. C’è guerra tra le cosche mafiose per gestire finanziamenti e appalti. Dichiarazioni 1983 - 1988 - esaurita la fase della delega la mafia tende a esprimere un proprio personale politico.


Corriere della Sera 1990 (Andrea Purgatori)

La denuncia del giudice antimafia Enzo Macrì: le istituzioni sono colpevoli dello smantellamento dei propri strumenti repressivi.

Calabria, una sconfitta annunciata.

Dopo i risultati conseguiti negli anni ottanta è cominciata la campagna sul pentitismo, la delegittimazione della magistratura, la distruzione dei pool. Il reddito sicuro è il taglieggiamento, i rapimenti servono a curare l’immagine. Racket su tutti gli appalti.Il denaro finisce nelle finanze all’estero. Le connessioni con la massoneria.


La Repubblica 6.12.1990 (Franco Coppola)  

La testimonianza di due magistrati di frontiera agli intervistatori della Rete Tre. Ora la mafia non delega più vota ed elegge i suoi uomini. Parlano i fratelli Macrì, giudici in Calabria. 

La mafia ha capito che sarebbe stato molto più proficuo per le sue attività entrare direttamente al livello decisionale nelle sedi in cui le decisioni vengono prese…


L’Unità 14.6.1992 (Aldo Varano)

Intervista a Vincenzo Macrì, giudice da venti anni a Reggio Calabria.

Per vincere? Rompere l’intreccio tra mafia, appalti e politica.

Vincenzo Macrì, sostituto procuratore presso la Corte d’appello di Reggio, da più di vent’anni giudice in una delle province a più alta densità mafiosa d’Italia, dice: Il decreto? Positivo. Ma non servirà certo per vincere sulla mafia. Ed aggiunge: Servono prima di tutto la volontà e le condizioni per colpire il collegamento mafia - appalti - politica. Ma chi ci prova viene demonizzato o emarginato. Spezzare collegamenti mafia-politica. Il 416 bis può essere utilizzato contro i vantaggi elettorali. Spezzando i collegamenti col potere che talvolta si creano di fatto attraverso i capi degli uffici giudiziari che possono bloccare indagini e inchieste scabrose. Bisogna alzare il tiro senza fermarsi al momento.


La Repubblica 9.9.1992 (Sandra Bonsanti)

Arrivato in città da appena dieci mesi ha messo in prigione un’intera classe politica: Ma è meglio non averne, che averne una in un certo modo. Un anno da giudice sul vulcano di Reggio. Parla Pennisi, il Di Pietro calabrese. rapporti mafia politica affari ‘ndrangheta che ha sempre un “ruolo” attraverso imprese direttamente mafiose o para mafiose - la strana “pax mafiosa” - sottoscritto accordo da parte di un grande mediatore  un Salvo Lima anche a Reggio! ma chi era Costui.


Avvenimenti 23.9.1992 (Michele Carlino)

Calabria II un magistrato a rischio rivela ..... I mafiosi del boia chi molla

E’ solo un caso che in molti misteri italiani, da Pecorelli al caso Moro, siano comparsi nomi di esponenti della ‘ndrangheta calabrese?. Vincenzo Macrì è uno dei giudici più minacciati d’Italia. Servizi Segreti, politici collusi, e boss delle cosche: quale può essere stato il loro punto d’incontro? “Fra il ‘70 e il ‘72, ai tempi della rivolta di Reggio capoluogo, la ‘ndrangheta cominciò a entrare nel grande traffico di armi...” “Sul piano nazionale, la P2: ma la sua stessa funzione, qui nel sud, l’hanno svolta le organizzazioni mafiose”. “Se Cordova diventerà superprocuratore antimafia .....”

....da quell’incarico la situazione calabrese può essere seguita con maggiore assiduità e con frequenti ritorni negli uffici giudiziari calabresi....sistema integrato di “mafie”......la pace mafiosa ....la seconda ipotesi è che l’accordo frutto della ....... di una sorta di cupola .... salto di qualità della ‘ndrangheta in vista di una sempre maggiore integrazione con le altre mafie operanti in Italia

- senza contare che nuove logge super coperte possono essere sorte, anche in Calabria sulle ceneri della P2.

Rapporti tra i servizi segreti, altri poteri occulti e organizzazioni criminali.

I rapporti tra ndrangheta e servizi sono più sfuggenti anche se non mancano voci relative a coperture che passano attraverso settori della destra eversiva che negli anni 70 confluirono direttamente o indirettamente nella ndrangheta. Il punto di svolta è rappresentato dalla rivolta di Reggio ,che incendiò la città tra il 1970 e il 1972; è certo che durante quegli anni si stabilirono rapporti non più interrotti tra destra eversiva, ndrangheta e servizi. 

- E’ come se esistesse un sistema integrato di poteri, attraverso il quale si è realizzato il dominio politico sulla società calabrese.

- ..la P2 - e anche un’organizzazione come Gladio


Tutti filoni investigativi che saranno sostenuti dalle dichiarazioni dei collaboratori che saranno verbalizzati dallo stesso inquirente Vincenzo Macrì.

Nessuna tesi accusatoria dell’inquirente Vincenzo Macrì reggerà al vaglio dibattimentale dello stralcio del processo Olimpia a carico dell’avv. Paolo Romeo così come prova la modifica del capo di imputazione e le conseguenti sentenze di condanna.

Restituito alla libertà fisica, menomato socialmente, per dieci anni circa vivrà da processato e da avvocato. L’avvocato, ex missino, ex parlamentare vive la vicenda come profondamente ingiusta.

Vi erano tanti modi per reagire. 

Vi è chi ha supinamente accettato le incursioni giudiziarie, chi è sceso a patti con i responsabili degli errori giudiziari, chi ha reagito denunciando lo strabismo giudiziario. I primi, espressione di formazione democristiana e tollerante, hanno riacquistato ruoli sociali e politici. Vi è chi ha fatto, meritatamente, il sottosegretario di Stato, chi ha assunto incarichi di governo regionale, provinciale o comunale. Gli altri, ovvero qualche sopravvissuto, è ancora inseguito e perseguitato.

Il ritiro dalla scena politica dell’avvocato ha di fatto smembrato il vecchio gruppo dirigente socialdemocratico. Vi è chi, a titolo personale, ha continuato a fare l’assessore regionale, chi ha assunto ruoli politici nazionali con prestigiose candidature al parlamento, altri con ruoli di governo provinciali e comunali. Tutti gravitanti autonomamente nell’area del centro sinistra.

Gli ex parlamentari reggini, dopo la bufera giudiziaria, hanno continuato ad essere punti di riferimento di aree politiche locali.

L’avvocato veniva percepito come soggetto politico acuto ed esperto, ormai fuori dall’agone politico, vittima di un provvedimento giudiziario ritenuto ingiusto dalla stessa autorità giudiziaria. 

A lui si poteva attingere per avere analisi sulla situazione politica, eventualmente pareri e consigli operativi. 

Ciò avveniva indifferentemente da parte di soggetti appartenenti alle più varie aree politiche. 

Non era un consulente di parte, perché non è stato mai più di parte, era disponibile con tutti disinteressatamente. Probabilmente appaga il bisogno di nutrirsi di ragionamento politico. Non ha mai chiesto ne ha mai avuto nulla dai suoi interlocutori potenti. 

La sua decennale condizione processuale, sviluppatasi non soltanto sistematicamente nelle aule giudiziarie ma anche sul palcoscenico mediatico, incide e limita l’attività professionale.

La sua natura ribelle e reattiva lo porta ad utilizzare la vicenda giudiziaria come una occasione per denunciare nelle competenti sedi giudiziarie le irregolarità processuali e ciò che giudicava abuso ed eccesso di potere perpetrato anche da alcuni appartenenti alla giurisdizione reggina.

Il processo era politico perché si inseriva nella più vasta operazione giudiziaria nazionale che porterà al passaggio dalla prima alla seconda repubblica.

Il processo era politico anche perché faceva parte di quell’insieme di procedimenti penali avviati dalla Procura reggina contro esponenti politici sul presupposto della esistenza di un perverso intreccio tra politica, massoneria, imprenditoria, pezzi deviati dello stato e ndrangheta. La peculiarità del procedimento contro l’avvocato era che attraverso un imputato, che si assumeva appartenente alla eversione di destra, si voleva provare la esistenza di un connubio storico tra tale mondo e la ndrangheta snodatosi ininterrottamente dal 1969 al 1993. 

Il punto di partenza dell’assunto era costituito dalla rilettura della vicenda Freda che infondatamente, contrariamente alle numerose emergenze processuali di segno contrario, ha impresso all’avvocato il marchio di estremista, eversivo di destra. Attraverso questo falso dato vengono rivisitati tutti gli eventi eversivi registrati dal 1968 in avanti e la figura dell’avvocato viene ad essi accostata per l'esigenza di connettere tutti gli episodi nell’ambito di un'unica strategia. 

L’unico reato che viene contestato è il 416 bis. Nessun reato fine, nessuna condotta personale penalmente rilevante rilevata nell’arco di oltre 25 anni.

Il politico imputato, non potendosi difendere da fatti che non vengono indicati nella rubrica del capo H2 del procedimento Olimpia, mette sotto accusa l’accusa.

Un iter processuale tormentato, arricchito da apporti di collaboratori costruiti in corso d’opera che costringeranno l’accusa a modificare il capo di imputazione dopo cinque anni di dibattimento. 

Mentre si difende denuncia errori giudiziari e responsabili. Altri, da postazioni diverse e per ragioni diverse, denunciano scorretti comportamenti della giurisdizione reggina. 

Un direttore di giornale conduce una sua campagna di denuncia e di moralizzazione che coinvolge, a suo parere, ben 62 magistrati reggini. Parlamentari reggini propongono interrogazioni al competente ministro per avere chiarimenti sui temi denunciati. Ispettori ministeriali vengono inviati a Reggio per esaminare lo scontro tribale che si registra tra magistrati reggini. Un avvocato storico difensore dei collaboratori denuncia patti scellerati tra magistrati della Dna e della giurisdizione di Messina e Reggio. 

Accadde nell’anno 2000 che il direttore di quel giornale, inseguito da numerose denunce per diffamazione, per le quali era assistito da più avvocati, coinvolge anche me nella difesa di alcune posizioni. Era stato per poco tempo sindaco della città voluto, sostenuto dal mio gruppo politico e pertanto vi erano rapporti di amicizia.

La circostanza presta il fianco ad una strumentalizzazione da parte di alcuni magistrati accusati dal Direttore, e che infruttuosamente da tempo tentano in tutte le maniere di chiudere quel giornale. A nulla erano valse alcune condanne per diffamazione dallo stesso subite unitamente a pesanti condanne di risarcimento danni.

Viene così ideata e costruita l’ipotesi di un reato associativo che vuole il direttore complice di un disegno criminoso posto in essere dall’imputato che ispira la campagna contro i magistrati al fine di delegittimarli a vantaggio degli interessi mafiosi. 

Incardinano, illegalmente, il procedimento a Reggio Calabria, delegando alle indagini la Questura di Reggio Calabria. Quando finalmente un GIP non concederà più la proroga alle intercettazioni ritenendo la competenza delle indagini, ex art. 11 cpp, in capo alla Procura di Catanzaro. 

Il nuovo procuratore acquisiti gli atti, correttamente delega alle indagini altro corpo di P.G. ovvero i Carabinieri di Reggio Calabria. Era accaduto sostanzialmente che le parti lese, successivamente anche parti civili nel processo, avessero indirizzato le indagini delegando le operazioni a funzionari della Questura di Reggio Calabria. Un grave vulnus al corretto accertamento dei fatti che vede coincidere il soggetto denunciante con l’investigatore. Un vero delirio di onnipotenza di un pezzo di potere giudiziario. 

Succederà che immotivate ragioni porteranno dopo qualche mese dalla delega ai Carabinieri al riaffidamento alla squadra mobile di Reggio Calabria.

Sul finire della fase dibattimentale di primo grado l’imputato, ex missino, ex parlamentare, viene vissuto dai magistrati del distretto di Reggio Calabria, come l’ispiratore dell’attività diffamatoria del direttore del giornale locale. 

Un nemico da abbattere. Ancor più e prima dello strumento utilizzato, il giornale, e del suo direttore.

Interverrà in questo clima la sentenza di condanna di primo grado il 24 ottobre del 2000, emessa da un Presidente della Corte di Assise che aveva odio e risentimento nei confronti del giudicando, tanto è che sarà parte lesa nel procedimento Caso Reggio.

Così come le indagini e gli atti del procedimento, Caso Reggio, si faranno carico di provare come il sentimento di odio nei confronti dell’imputato porterà ad incidere e condizionare la decisione della Corte di Appello di Reggio Calabria che emetterà sentenza di condanna dell’imputato, il 24 settembre 2002 pur con una riqualificazione del reato in concorso esterno. 

L’11 febbraio 2004 l’imputato sarà condannato. Si consegnerà alla casa penale di Vibo Valentia per l'espiazione della pena di tre anni che gli viene inflitta.

Fase Misure alternative

Il condannato berrà la sua cicuta, consapevole della ingiusta pena di morte sociale che gli era stata inflitta. Dignitosamente affronterà la pena che ritiene essere il prezzo che è chiamato a pagare per essere stato un soggetto anomalo, un visionario, un indomabile ribelle verso le ingiustizie del potere. 

Si inserirà in quella nuova comunità dove era stato relegato non rinunciando comunque ad essere se stesso. La sua indole lo porterà a ritagliarsi un ruolo di protagonismo in quella realtà che lo aiuterà a mantenere alta l’autostima. Continuerà a fare l’avvocato svolgendo l’attività di consulente legale attraverso la lettura di tutti gli atti processuali dei detenuti della sezione attività che serviva fondamentalmente a promuovere processi di autocritica ed aprire i cuori alla speranza. Collaborerà alla redazione di un giornale e curerà la pubblicazione di due libri: “Ogni società ha il carcere che si merita” e un secondo “Vite tra…tenute”. Svolgerà attività sindacale per la corretta applicazione dell’ordinamento penitenziario. Troppo irrequieto per essere tollerato e viene quindi trasferito da Vibo Valentia a Livorno.

Erano trascorsi alcuni mesi e di intesa coi difensori verrà inoltrata al Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro una istanza per essere ammesso alle misure alternative nonostante il reato fosse ostativo ma sostenendosi ricorrente l'ipotesi della collaborazione impossibile che derogava al divieto.

Viene istruita la richiesta con l'acquisizione di tutte le informazioni necessarie e verrà fissata l’udienza di trattazione.

Siamo ad ottobre del 2004 e tutti viviamo la vigilia dell’accoglimento della istanza a cagione delle positive informazioni pervenute ma soprattutto a cagione del fatto che con appassionato e motivato intervento del procuratore di udienza verrà chiesto l’accoglimento. La richiesta era stata talmente convincente e completa che la difesa non discuterà l'istanza riportandosi alle motivazioni della Procura.

L’udienza verrà rinviata per la decisione a dicembre(?).

Irrompe, il 3 novembre 2004, sulla scena un improvviso ed inaspettato provvedimento custodiale che darà luogo al processo c.d. Caso Reggio ovvero alla presunta attività posta in essere, dal 2001 al 2004, per la delegittimazione dell’autorità giudiziaria reggina.

La circostanza vanificherà il procedimento in corso dinanzi al Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro.

Quel processo finirà con una assoluzione perché il fatto non sussiste ma avrà l’effetto di fare espiare altri due anni di carcere al condannato. 

Fase Caso Reggio

A novembre del 2004 si ha ormai la consapevolezza di dovere espiare l’intera pena in carcere. Il potere giudiziario reggino aveva colpito ancora con un provvedimento restrittivo che aveva una molteplice valenza: suonava come un messaggio all’opinione pubblica che aveva reagito alla sentenza definitiva con pubbliche manifestazioni di solidarietà al condannato; ammoniva quanti osavano criticare il loro modo di essere e di operare mettendo sotto accusa giornalisti, professionisti, politici ed anche qualche magistrato. UN SEGNALE DI POTENZA che produrrà una classe dirigente “prudente”, pronta al potente di turno.

Trascorrono quasi cinque anni per ottenere una sentenza assolutoria di primo grado che, nonostante l’impegno di alcuni magistrati costituiti parte civile, non verrà impugnata. 

Le posizioni stralciate il 16 gennaio 2006 relative alle posizioni di Valentino + 3 verranno archiviate dal GIP di Catanzaro il 18 settembre del 2006, lo stralcio Romeo + 2 verrà archiviato dal GIP di Roma il 16 agosto 2007 mentre lo stralcio Gangemi + 27 verrà archiviato dal GIP di Catanzaro il 14 gennaio 2010.

Quasi trenta persone, uomini delle istituzioni, pezzi del governo nazionale e regionale, magistrati, docenti universitari, professionisti, pezzi dello Stato trascinati nel fango con danni esistenziali e sociali incalcolabili, tutti assolti senza che alcuno paghi per un errore.

L’impunità farà covare sotto cenere la pervicace tentazione di riproporre il tema dopo alcuni anni.

Fase Gotha

A maggio del 2006 varcherà le porte della casa penale di Livorno e con aereo da Pisa ritornerà nella sua terra. Si sistemerà in una piccola casetta sul mare di Gallico alla conquista di un rapporto interrotto con la natura. Si dedicherà principalmente alla coltivazione di ortaggi ed alla pesca.

Sarà ancora per alcuni anni alle prese con il processo Caso Reggio che si celebra a Catanzaro e che lo vedrà assolto con sentenza del 2009. Un provvedimento che confermerà nei più il convincimento della persecuzione giudiziaria e che comunque lo riabiliterà agli occhi della pubblica opinione e della sua comunità. 

L’amore per il mare, la condivisione dello stesso con i pescatori dilettanti della zona, riaccende un sistema di relazioni sociali che sfocia nell'organizzazione della “festa del mare”. Un format che, in progress, coinvolgerà istituzioni, esponenti del mondo della politica, dello sport e della cultura. 

L’attività professionale del pregiudicato si limita ad attività di consulenza legale.

Da qui l’incontro e lo scambio di esperienze culturali con altre associazioni che si costituiscono in un movimento di Cittadinanza attiva cimentandosi nella elaborazione di un piano strategico della nuova realtà di Reggio Città Metropolitana. 

Trascorrono così dieci anni. Il riabilitato verrà spiato notte e giorno per tutto il periodo come provano le iscrizioni nel registro degli indagati, le archiviazioni, le intercettazioni e le indagini che sfoceranno nel maggio del 2016 in un primo provvedimento custodiale nell’ambito del procedimento Fata Morgana seguito, a luglio dello stesso anno da altri due provvedimenti: Reghion e Mammasantissima.

Proc. 5731/05 RGNR (RIT 2273/07 DDA - RIT 2425/07 DDA)

Periodo: 2007 e 2008

Proc. 3435/08 RGNR (RIT 1616/08 - RIT 30/09)

Periodo: 8/07/2008 - 16/01/2011

Proc. 2478/07 RGNR (RIT 2273/07 e RIT 2425/07 DDA)

Periodo: 28/12/2010 sino al marzo 2012

Proc. 6673/11 RGNR-DDA

In data 21/07/2011 riapertura delle indagini relative al procedimento 3435/08. In data 28 luglio 2011 il PM, dr Lombardo, dispone l'iscrizione a mod. 21 DDA, delle persone indicate con il nome “Il Gatto” e “La volpe” in ordine al reato p. e p. dall’art. 416 bis.

Proc. Pen. 9339/09 (RIT 1016/13, RIT 2255/14, RIT 36/15)

Periodo: dal 28/05/2013 al 31/05/2016

Proc. 65.13 (RIT 1063/13 RIT 239.14 RIT 1403/15 RIT 803/13 RIT 594/13)

Periodo: 2013/2015

Così sintetizza ed inquadra l’attività giudiziaria un trafiletto della Gazzetta del Sud del 16.07.2016:

Le indagini - Tre inchieste e un unico contesto - Cosche e politica - All’inizio ci fu “Fata Morgana” che ipotizzava l’esistenza di una cupola segreta, frutto di un coacervo di interessi e dell’accordo scellerato tra ’ndrangheta e massoneria deviata, che controllava la vita socio-economica della città di Reggio. Dopo qualche settimana c’è stata l’operazione “Reghion”: stesso contesto. ’Ndrangheta e burocrazia comunale a braccetto per fare affari alle spalle della città e degli ignari cittadini di Reggio. Dopo solo qualche giorno deflagra "Mammasantissima" e qui la ’ndrangheta osa l’inimmaginabile: diventare soggetto politico che infiltra i suoi uomini nelle istituzioni a tutti i livelli: dal Comune alla Provincia, dalla Regione al Parlamento fino all’Unione Europea. Un cancro infetto che mina la democrazia fin dalle fondamenta creando un vulnus pericolosissimo cui i magistrati antimafia stanno cercando di mettere una “pezza” arrestando i presunti appartenenti.” al volto segreto della ’ndrangheta, Quegli “invisibili” che il pm antimafia Giuseppe Lombardo stava cercando di snidare fin dall’inchiesta Meta.”

Invero mentre volgeva alla fine il processo “Meta” il procuratore di udienza, che manteneva cordiali rapporti con gli avvocati e con i quali scambiava informali punti di vista sulla vicenda giudiziaria, sollecitò un avvocato, che sapeva frequentare l’avvocato, ex missino, ex parlamentare, condannato e riabilitato, a chiedere un incontro informale e riservato in Procura per uno scambio di informazioni. 

La richiesta formulata tempestivamente venne garbatamente quanto decisamente respinta. La risposta fu che vi era ampia disponibilità a riferire all’autorità giudiziaria tutto quanto fosse a sua conoscenza ma soltanto a condizione che tutto si svolgesse nelle forme di rito ed ufficialmente. 

L’episodio si prestava a varie interpretazioni ma appariva certo che ero nei pensieri di un Pubblico Ministero che sino a quel momento non riusciva a dare corpo ad alcune ipotesi investigative.

Non è dato sapere come abbia valutato il rifiuto. Certamente non bene. Un potente quanto meno si indispettisce per il diniego ad una generosa richiesta. 

Il diniego nasceva da un senso di mortificazione per il ruolo implicito che la proposta conteneva. Mi considerava appartenente ad una cultura mafiosa. Offendeva l’orgoglio di chi aveva sempre camminato a testa alta potendo guardare tutti negli occhi con pari dignità. 

Dignità ed orgoglio di un onesto “operatore sociale” che non sentiva scalfiti da una ingiusta sentenza di condanna che l’interlocutore, invece, poneva a base delle sue valutazioni.

Qualcuno mi faceva notare che forse l’adesione a quell’invito avrebbe potuto evitare le derive giudiziarie che sono seguite. La dignità e l’orgoglio non hanno un prezzo.

Tornando all'ultima vicenda giudiziaria vi è da dire che alle ordinanze custodiali seguiranno provvedimenti di annullamento della Suprema Corte di Cassazione ed un lungo processo di primo grado che si concluderà con l'assoluzione per sette dei dieci capi di imputazione e con la con la condanna per soli tre per i quali, nel giudizio abbreviato, i coimputati saranno tutti assolti in via definitiva. 

Oggi a diciannove mesi dalla sentenza di primo grado si è ancora in attesa della motivazione della stessa.

Come è stato possibile che un decennale percorso sociale e personale, pienamente trasparente e pubblico, possa essere stato interpretato in sede giudiziaria come un preordinato disegno volto a generare relazioni e potere per interferire sulle decisioni delle istituzioni a favore della criminalità organizzata? 

Che l’ipotesi investigativa fosse errata lo dicono le ormai definitive sentenze di assoluzione nei confronti di tutti i soggetti coinvolti nella folle iniziativa giudiziaria.

Il problema è come spiegare i meccanismi che hanno generato un tale colossale abbaglio?

Quale mente malata ha partorito i mostri offrendoli in pasto ad una opinione pubblica affamata di benessere e sicurezza?

E’ la mente Khomeinista dell'istituzione che, supplendo al compito della Politica, ha assunto il ruolo di epuratore sociale. 

Inoltre, di fronte al perdurare di una crisi sociale, economica e politica, le cui cause venivano ricondotte principalmente alla presenza di pervasivi fenomeni corruttivi e di criminalità organizzata vengono sollecitati ed ottenuti provvedimenti legislativi repressivi ed eccezionali. 

Nonostante l’imponente attività di contrasto dispiegata, ad oltre venti anni dalla costituzione di forze speciali e di leggi di emergenza, il fenomeno criminale diventa sempre più forte e pericoloso.

La risposta a questo andamento è la stessa che gli uomini primitivi davano ai fenomeni flagellanti. Loro invocavano gli dei, gli investigatori moderni cercano gli invisibili.

E’ l’errore di analisi del fenomeno che porta all'assunzione di meccanismi di contrasto inefficienti. 

La forzatura giudiziaria, in assenza di politiche adeguate, non risolve il problema ma crea soltanto ingenti danni sociali ed economici.